Nel saggio, Matvejevic, tornato a Mostar, la sua città natale, martoriata dalla guerra, scrive di voler chiamare a rispondere di tutta questa distruzione gli scrittori. Li vorrebbe vedere davanti a un «giurì d'onore» come quelli istituiti in Europa dopo il 1945, perché - sostiene - nessuno ha posto il proprio popolo di fronte allo specchio come fecero nel dopoguerra gli scrittori tedeschi. Al contrario. E cita Dobrica Cosic («maestro del duce serbo»), Ivan Aralica («che sostenne il Supremo croato e usò la sua penna spuntata per giustificare l'aggressione della Bosnia»), Momo Kapor («che teneva il microfono sotto la barba al sedicente gonfaloniere serbo - ovvero Karadzic - mentre questi randellava Sarajevo»). Fa una decina di nomi: serbi, croati, bosniaci, tra i quali il permaloso Pesorda. «Non avrei mai pensato», commenta Matvejevic, «di venire condannato per uno scritto. Ma ho visto che succede anche oggi, e in maniera ancora maggiore che nella Yugoslavia socialista».
Data pubblicazione
01/11/2012