Acquedotto Traiano: una pendenza di circa tre metri per 57 chilometri con una portata di 1400 litri al secondo

Scritto da Il Mare
11 gennaio 2018

Il nostro “geometra” scrittore nella calza della Befana ha messo una vera chicca, il racconto di un acquedotto straordinario lungo 57 chilometri. Passato alla storia come Aqua Traiana venne costruito dall’imperatore Traiano nel 109, con parziale riutilizzazione del condotto dell’Aqua Alsietina. Raccoglieva le acque di sorgenti sui monti Sabatini, presso il lago di Bracciano (lacus Sabatinus). La lunghezza complessiva era di circa 57 km e la portata giornaliera di circa 2.848 quinarie, pari a poco meno di 118.200 m³. Raggiungeva la città con un percorso in gran parte sotterraneo lungo le vie Clodia e Trionfale e poi su arcate lungo la via Aurelia, entrando a Roma sul colle Gianicolo, sulla riva destra del fiume Tevere. Tagliato una prima volta durante l’assedio di Roma da parte degli Ostrogoti di Vitige, nel 537, fu restaurato da Belisario. Per i danni ancora subiti dai Longobardi, fu di nuovo restaurato a più riprese tra l’VIII e il IX secolo, e fu infine ricostruito come “Acqua Paola” nel XVII secolo. Il Caput Aquae (fonte) dell’acquedotto di Traiano è venuto alla luce quasi per caso in una zona sul Fosso della Fiora al confine tra il comune di
Manziana e di Bracciano: un ninfeo con straordinarie volte colorate in blu egizio.  Si tratta della scoperta straordinaria della prima sorgente del percorso attorno al lago di Bracciano dell’acquedotto inaugurato nel 109 d.C. per servire la zona urbana di Trastevere  A fare la scoperta, due
documentaristi inglesi, Michael e Ted O’Neill, impegnati in una ricerca sugli acquedotti romani, che si sono imbattuti nei resti di un ninfeo con straordinarie volte colorate in blu egizio. E l’importanza del ritrovamento è confermata dall’archeologo Lorenzo Quilici, professore di topografia antica all’università di Bologna, che definisce il ninfeo «stupefacente». Coperto da una grotta artificiale che accoglieva una cappella della Madonna, risistemata agli inizi del Settecento dai principi Odescalchi – anticipa Quilici che illustrò la scoperta insieme con Michael e Ted O’Neill in una conferenza stampa a Roma – è venuto fuori un monumento «che si è rivelato un ninfeo, costruito all’origine delle prime sorgenti dell’acquedotto», un monumento straordinario, dice il professore, «che possiamo paragonare al Canopo di Villa Adriana o al Ninfeo di Egeria nel Triopo di Erode Attico sull’Appia Antica. Si tratta, racconta Quilici, «di una cappella centrale dedicata al dio della sorgente o alle ninfe, che si approfondisce ai lati in due bacini coperti da straordinarie volte ancora colorate in blu egizio che, alla base, con un ardito sistema di blocchi messi a filtro, accoglievano l’acqua in due laghetti, dai quali partiva il canale dell’acquedotto». 
Fontana dell'Acqua Paola al Gianicolo
Le strutture, alte fino a 8-9 metri, sono realizzate, spiega il professore, «in opera laterizia e in opera reticolata assai raffinata e gli ambienti, con le volte a botte e a crociera, i pozzi, i cunicoli di captazione che vi si convergono, il canale che principia l’acquedotto sotterraneo, sono oggi tutti percorribili perchè privati dell’acqua». Entrarvi al momento fu un’avventura, raccontano Michael e Ted O’Neill, padre e figlio, documentaristi per la Meon Htdtv Productions Ltd, perché il luogo, che si trova all’interno di una piccola proprietà dove si allevano maiali, è incolto e soprattutto coperto da un gigantesco albero di fico che con le sue radici scende fino al più profondo livello del ninfeo, minandone tra l’altro la struttura. Fatica ricompensata però, secondo Quilici, «dall’emozione di accedere a un monumento rimasto segreto per secoli e straordinario nella sua architettura». L’acquedotto di Traiano è stato il penultimo in ordine di tempo degli undici grandi acquedotti che rifornivano Roma antica; inaugurato nel 109 d.C, è rimasto praticamente sempre in funzione. All’inizio del Seicento Paolo V lo fece restaurare. L’acquedotto papale prendeva però l’acqua dal lago di Bracciano, come fa ancora all’incirca il condotto attuale, mentre l’acquedotto romano captava lungo il suo percorso le acque delle sorgenti che alimentavano il bacino. 
Stampa del 1800 della Porta sull’Aurelia antica
Per celebrare la sua opera, Traiano fece coniare anche delle monete sulle quali è raffigurata l’immagine semisdraiata di un dio fluviale sotto un grande arco affiancato da colonne. Per secoli si è creduto che l’immagine rimandasse alla mostra d’acqua che l’imperatore avrebbe costruito sul Gianicolo, anticipando di 1500 anni il fontanone di Paolo V. Ma forse – è l’ipotesi suggestiva degli O’Neill – quello raffigurato sulla moneta è proprio il ninfeo-grotta di Bracciano, che ora, è la speranza di Ted e Michael che per questo si sono rivolti alla soprintendenza, dovrebbe essere studiato e restaurato. La portata giornaliera dell'acquedotto era di sole 392 quinarie (pari a 188 litri al secondo, cioè 16.228 m³ al giorno): di queste, 254 erano riservate all’uso dell’imperatore e le restanti 138 venivano concesse in uso ai privati. Il percorso, interamente sotterraneo tranne un tratto di circa 500 metri, era lungo quasi 33 km., di cui si conosce con una certa approssimazione solo il tratto iniziale di circa 200 m., corrispondente al cunicolo sotterraneo da cui veniva presa l'acqua dal lago. Entrava in Roma nei pressi dell'attuale Porta San Pancrazio,attraverso una porta celebrativa ancor oggi esistente; per poi scendere verso Trastevere e raggiungere la zona di Piazza San Cosimato dove si trovava la “naumachia”. A seguito di un consistente intervento di restauro, un nuovo condotto fu realizzato da Traiano nel 109 d.C., solo parzialmente coincidente con quello originario. Risulta che nel III secolo d.C. la naumachia fosse ancora funzionante, ma venne abbandonata poco dopo anche a causa di un rilevante abbassamento del livello del lago di Martignano (circa 30 m), dovuto comunque a cause naturali, che lasciò in secco il canale di alimentazione. Fu in parte ripristinato da papa Paolo V che, nel 1612, ne utilizzò la struttura e le acque (il livello del lago era di nuovo cresciuto) per la costruzione dell’Acqua Paola. L'acquedotto, sull'antico tracciato dall’Aqua Traiana, fu ricostruito su un progetto del 1605 per volere di papa Paolo V, ad opera di Giovanni Fontana, Carlo Maderno ed altri, per l'approvvigionamento idrico del Gianicolo e della sottostante area di Trastevere, ma in realtà il pontefice mirava soprattutto a poter disporre di una cospicua riserva d'acqua per i giardini della sua residenza vaticana. Per ridurre i tempi di costruzione, l’intero percorso di circa 64,4 km fu suddiviso in sezioni più piccole, affidate ciascuna ad un diverso architetto, che lavoravano in contemporanea. Iniziati i lavori nel 1608, nel 1610 l’acqua raggiunse la sommità del Gianicolo. Il test del flusso fu un disastro: la pressione era talmente forte che ruppe i “rubinetti” e inondò il Gianicolo, producendo diversi danni. Ripristinata la normalità, l’abbondanza d’acqua fu utilizzata anche come forza motrice per l’alimentazione di alcuni mulini. L’acquedotto termina con la Fontana dell'Acqua Paola sul Gianicolo, realizzata nel 1611 poco distante dall'attuale Porta San Pancrazio. Così scarsi erano il valore e la qualità che il popolo riconosceva all’acqua Paola, da essere diventata proverbiale: di una medicina di nessun valore o effetto, ad esempio, si dice ancora che cura come l’Acqua Paola. 
Giancarlo Pavia