L'archeologia subacquea rappresenta, nel campo delle discipline archeologiche, il ramo forse più affascinante e ricco di promesse, dal momento che solo di recente prodigiose conquiste tecniche hanno portato al definitivo superamento degli ostacoli fisici che impedivano la prolungata permanenza umana sott'acqua. Oltre al bacino mediterraneo, scavi subacquei vengono intrapresi oggigiorno nelle acque più diverse: mari, laghi, fiumi d'Europa e d'America e lungo le coste dell'Africa, dell'Australia e dell'Estremo Oriente. In quest'opera, realizzata da Piero Alfredo Gianfrotta e Patrice Pomey, il lettore - sia l'appassionato della materia sia l'archeologo e lo storico - troveranno l'esposizione, scientificamente ineccepibile, delle tecniche di scavo subacqueo e dell'architettura navale antica, oltre alla più completa esposizione finora disponibile sui carichi dei relitti rinvenuti, i tipi di oggetti trasportati, i grandi commerci marittimi, i porti, gli impianti e le strutture sommerse. In un apposito capitolo vengono inoltre trattate le scoperte degli ultimi trent'anni in tutto il mondo (si possono citare, a titolo di esempio, lo studio delle grotte sottomarine. mediterranee di Villefranche e Cassis, quello dei cenotes - pozzi . sacri - di Chichén Itza e di Xlacah, nel Messico, il rilievo e l'esplorazione dell'antica città sommersa di Port Royal, in Giamaica, che ha portato alla luce la più ricca raccolta di reperti coloniali della fine del XVII secolo). Il volume è corredato da una ricca iconografia - 260 fotografie a colori e in nero, 125 disegni e cartine - in gran parte inedita, da un glossario dei principali termini marinareschi usati nel volume e da una esauriente bibliografia. La lotta dell'uomo contro il mare per strapparne i «tesori» sommersi ha origini molto antiche. Già nell'Iliade è presente un primo accenno a uomini abili a nuotare sotto la superficie marina, e alcune località della Grecia erano rinomate per l'abilità dei loro «sommozzatori». Ai tempi dell'Impero romano esisteva la corporazione degli urinatores, nuotatori subacquei specializzati alle cui prestazioni - come ricordano gli scritti di Plinio il Vecchio e varie epigrafi rinvenute - si dovette ricorrere spesso. Lo stimolo alla ricerca dei carichi delle navi affondate derivava dall'antichissima usanza mediterranea, vigente ancora oggi, di attribuire i resti dei naufragi a chi se ne impadroniva per primo. Il Rinascimento vede svilupparsi un accresciuto interesse verso l'ignoto abisso marino. I primi, fortunosi tentativi di recupero delle navi romane affondate nel lago di Nemi, ad esempio, risalgono all'impresa di Leon Battista Alberti (1446). Nel 1664, grazie all'impiago della campana batiscopica di Halley, verranno recuperati i cannoni del relitto del Vasa, la nave da guerra svedese affondata nel 1628. Ma è con il recupero dei preziosi carichi dei relitti di Anticitera, in Grecia (1900-1901) e di Mahdia, in Tunisia (1908-13) che nasce «ufficialmente » l'archeologia subacquea, grazie ai notevoli miglioramenti ottenuti nel frattempo a livello tecnico. L'invenzione dell'autorespiratore ad aria (1942-43) sarà l'elemento determinante per la trasformazione radicale delle indagini archeologiche. Grazie a questo strumento, il numero dei subacquei si andrà enormemente ampliando. La moda della «caccia all'anfora», contemporanea al grande sviluppo della pesca sportiva subacquea, provocherà negli archeologi e negli scienziati la preoccupazione di salvare da pratiche indiscriminate e dilettantistiche una tecnica di enorme valore storico e culturale, dal momento che essa permette la raccolta di una documentazione rilevantissima nell'ambito di due settori della storia antica: quello tecnologico e quello economico. Raccolta che avviene in condizioni per così dire «privilegiate», poiché i relitti delle navi naufragate rappresentano una sorta di «giacimento chiuso», cronologicamente determinato, e per l'abbondanza del materiale recuperato (ceramiche, opere d'arte, metalli, colonne, sarcofagi, macine, laterizi, attrezzature di bordo, ecc.) che supplisce alla penuria di dati quantitativi di cui soffre lo studio dell'economia antica.