Dopo la Geo-filosofia dell’Europa, che tracciava il profilo di quella singolare figura a cui, sin dall’inno omerico ad Apollo, fu dato il nome di Europa, Cacciari si inoltra ora nel paesaggio aeuropeo, che gli si mostra appunto come Arcipelago, irriducibile pluralità dove i singoli elementi convivono in quanto inevitabilmente separati. E le isole dell’Arcipelago sono le declinazioni d’Europa: in molte forme ha combattuto sé in se stessa, ma comune è l’interrogazione. Perciò anche il suo declino, o il suo necessario tramonto, assumerà nomi diversi. Il senso del tramonto d’Europa dovrà contrarsi nei volti dello «homo democraticus» di Tocqueville, dell’«ultimo uomo» di Nietzsche, dell’«uomo del sottosuolo» di Dostoevskij? Il senso del tramonto dovrà arrestarsi sul meridiano dell’affermazione inospitale della propria ‘insularità’, dell’empia commistione tra ‘anarchica’ richiesta di autonomia ed esigenza servile di protezione e tutela? L’‘ideale’ del gregge che non tollera alcun pastore sarà l’ultima parola del tramonto d’Europa, la sua ultima declinazione? Queste sono le domande poste al centro di L’Arcipelago. E la figura stessa dell’Arcipelago invita a una possibile risposta. Se mai l’Europa custodisce ancora in sé tale figura, e può perciò rammemorarla, allora un dio ancora straniero può attenderla: il dio che ospita perché egli stesso straniero, il dio che esiste nell’essere-insieme perché in se stesso molteplice, il dio che incarna in sé tutto il passato – tutte le sue vittime e i suoi ‘peccati’ – per poterlo finalmente oltrepassare. «Amicizie stellari» separano-congiungono le isole dell’Arcipelago. Tali ‘amicizie’ formano l’ethos paradossale di una patria assente, che proprio per la sua assenza e inattingibilità inesauribilmente vive. E aperta rimane la questione, per noi tutti decisiva, se l’Europa saprà lasciarsi così declinare.
Data pubblicazione
01/01/1997