Non molti di voi sapranno dell'impresa del Batiscafo Trieste che negli anni '50 scese per primo alla profondità di 3150 metri al largo di Ponza. Il suo ideatore, lo svizzero Auguste Piccard era un fisico appassionato ricercatore che realizzò prima un aerostato con cui, il 18 Agosto 1932, salì a 16.201 metri di quota e poi si dedicò all'esplorazione degli abissi. L'aerostato era un gran pallone riempito di idrogeno a cui era sospesa una sfera di alluminio che portava due passeggeri. La sfera manteneva al suo interno la pressione atmosferica nell'aria rarefatta della stratosfera. La realizzazione di questa capsula abitativa con sistemi artificiali di respirazione lo spinsero a pensare alle profondità marine e nel 1945 iniziò a cercare i finanziamenti per l'impresa. Dopo aver realizzato due successivi modelli di sfere abissali con cui eseguì i primi tentativi, nel 1952 passò alla realizzazione del batiscafo che fu costruito quasi interamente in Italia dai Cantieri riuniti dell'Adriatico e messo a punto dalla Navalmeccanica di Castellamare di Stabia. La batisfera fu realizzata in Italia dalle acciaierie di Terni che a giudizio di Piccard erano le migliori di Europa. La sfera fu composta con due semisfere in acciaio forgiato del peso totale di 21.6 Ton, aveva un diametro interno di 2 metri ed uno spessore di 9 cm che vicino agli oblò ed alla porta diventano 15. L'idea è la stessa del pallone stratosferico, una cabina sferica sospesa ad un galleggiante. Il galleggiante a forma di siluro è un insieme di serbatoi riempiti con 106 mila litri di benzina. Il batiscafo sale e scende come un ascensore. La zavorra di granaglia di ferro lo porta giù e poi, quando questa viene scaricata i galleggianti pieni di benzina lo riportano su. Dopo varie prove a profondità minori, anche senza passeggeri e dopo varie peripezie, dovute a mal tempo e banali incidenti tecnici, finalmente si punta ad una prima discesa profonda. Il 25 Agosto 1953, al largo di Capri, il Trieste scende a 1080 metri ed affonda nel fango del fondo. Quando risale, i giornalisti urlano che vogliono avere una prova. Un subacqueo che dava assistenza, certo Raimondo Bucher, prende il fango dal bordo di un oblò e lo lancia verso i giornalisti gridando: "ecco la prova". Il 30 Settembre 1953 al largo di Ponza il batiscafo raggiunge la profondità di 3150 metri. Geniale il sistema di regolazione della zavorra. Questa era contenuta in due grossi serbatoi che avevano in basso un ugello di uscita. L'ugello era sempre chiuso tramite l'attivazione di un potente elettromagnete, che bloccava i grani di ferro nel foro di uscita. L'interruzione di corrente faceva scaricare progressivamente la zavorra regolando la velocità di ascesa. Anche la benzina contenuta nei serbatoi poteva essere scaricata in parte sostituendola con l'acqua di mare (oggi non sarebbe consentito), in modo da diminuire la spinta di galleggiamento. Qualsiasi incidente improvviso, come penetrazione di acqua nella sfera, superamento di un tempo prestabilito dell'immersione, mollava automaticamente i serbatoi della zavorra ed il batiscafo ritornava in superficie. I passeggeri respiravano grazie ad un'apparecchiatura fornita dalla Draeger che erogava ossigeno e contemporaneamente fissava l'anidride carbonica su filtri a calce sodata. Nell'ultimo capitolo: "Quel che ci ha insegnato il delfino", Piccard immagina un nave passeggeri anfibia che naviga a 50 metri di profondità a 60 nodi di velocità imitando il nuoto dei delfini. Aveva infatti osservato che questi mammiferi esprimono grande acquaticità e velocità con il minimo sforzo, grazie ad un sistema nervoso diffuso nel derma che impedisce sul nascere la formazione dei vortici di attrito. Propone quindi di costruire le pareti della nave anfibia con un sistema di sensori e micromotori guidati da un cervello elettronico che imitano il derma del delfino e contrastano la formazione dei vortici.
Data pubblicazione
01/01/1955