Settanta chilometri di cammino, oltre 3000 metri di sola ascensione per legare, in tre sudatissimi giorni, tutte le cime dei monti Lattàri. E non sono numeri qualsiasi, ma quelli che occorsero a Giustino Fortunato per compiere una piccola grande impresa: la traversata di una «regione distinta della Campania Felice: una penisola montuosa, ricca di antiche memorie, di varia industria, di paesaggi incantevoli». Almeno così la vedeva, dalla riviera partenopea, il pensatore lucano; futuro Senatore ma già attivo, pedestre Meridionalista. A parte le buone intenzioni, serviva l’anno 1877 ed «il più bel mattino d’autunno» per levare il Nostro dal buen retiro di Castagneto e menarlo a Pasciano, frazione di Cava: guidato da un anziano taglialegna salendo s’innestava a quello che, se non il più verde, è certo il ramo migliore degli Appennini; e sopra proseguì per il Cerreto ed il Cervigliano, il Faito ed il monte Comune, e così sia fino alla Campanella, in faccia all’universo sireniano. Lì si fermò, ebbro di meraviglie, intuendo che le divinità vanno sì interrogate, ma non ascoltate. In realtà questo non è che un pretesto, il primo, per assegnare quella traccia che, una volta abbozzata tra i banchi rocciosi, si consegna al Promontorio ateneo per spalancare, se non fuori tema, la Bocca piccola di Capri: la metafora scolastica serva a promuovere le nostre Vie solitarie.
Data pubblicazione
01/11/2011