Al di là del valore documentario, delle ipotesi pro o contro una tesi archeologica, di questo o quel racconto venato di miti, il significato di Geografia Sacra, il libro di Giovanni Feo, sta nella ricerca del paesaggio. Impresa che necessita di due elementi: un territorio e un orecchio affinato per captarne la voce. Dietro il sipario, prima che la scena si illumini, è generalmente il suono ad offrire in anticipo il tema, a predisporre lo spettatore di fronte alla storia. Ed è sempre un racconto, l’ordine scelto per concatenare indizi e ricordi, la persistenza e la seduzione di un nuovo punto di partenza, a metterci sulla via. Oltre i cambiamenti, i pensieri e le azioni che un territorio comanda o subisce nel corso dei secoli, spesso rimane qualcosa di remoto che, in sé e per sé, prima dell’evidenza di un rudere, risuoni in chi ha voglia di ascoltarne l’eco. È probabile che ciò avvenga quando la mente si allinea al corpo e il sapere alla percezione del passato, quando le cose intorno iniziano a parlare un altro linguaggio. Forse, si tratta, innanzitutto, di uno stato d’animo, l’aver smosso un velo sulla natura. Anche se molto resta ancora da dimostrare con la pallida ed esigente precisione della scienza, è iniziato un processo di arricchimento del mondo circostante, una lievitazione di significati: il territorio si è trasformato in paesaggio, in corpo visibile. Ed appena appare una forma ecco che tende ad affiorare il suo messaggio.
Data pubblicazione
01/07/2006