Anche se gli antichi greci la chiamavano la Dorata e la Sorridente, Venere è in primo luogo «portatrice di tentazioni che trasgrediscono l'ordine etico e prescindono dalla giustizia», spiega Hillman in questo saggio profondo, pieno di sorprese, illuminato da un ininterrotto fuoco di immagini e intuizioni. I seguaci di Afrodite, coloro che le fanno da seguito e portano i suoi doni, che «imprimono a ogni momento della giornata il segno di Venere nel loro modo di fare, parlare, vestire», sono stati relegati troppo a lungo, nella nostra civiltà, «a un rango inferiore e banale, né serio né morale». Ma chi si consacra ad Afrodite può anche diventare completamente pazzo, bugiardo, maniacale e crudele. Per questo, Hillman l'ha voluta «invitare nella psicologia». Ha voluto «immaginare una psicologia che sviluppi idee e prassi in modo a lei più affine». Si tratta anzitutto di capire «dov'è la bellezza nella psicologia». Perché finora «nelle sue teorie, nella formazione degli psicoterapeuti, nel linguaggio che parlano e scrivono, perfino nei loro vestiti, il loro disprezzo per l'apparenza insulta Afrodite restringendo l'idea di anima alla sola invisibile interiorità degli esseri umani. La psicologia esplora il cuore umano ignorando che il desiderio essenziale del cuore non è solo quello dell'amore, ma anche quello della bellezza». Perché quest'infelice rapporto tra psicologia e bellezza? Il fatto è che Venere, spiega Hillman, «è rimasta intrappolata nel dilemma fondamentale del cristianesimo, che divide la bellezza dalla bontà e dalla verità spaccando in due il concetto classico di Kalokagathon bellezza e bontà saldate in una sola parola». La lunga storia della filosofia cristianizzata «ha separato l'etica dall'estetica, la Giustizia dalla Bellezza, così che generalmente non crediamo si possa essere insieme buoni e belli, morali e attraenti, né che i piaceri dei sensi siano una via verso la verità».
Data pubblicazione
01/07/2008