Le isole hanno sempre esercitato su di me un grande fascino; probabilmente esse affascinano chiunque scrive Sacks all'inizio di questo libro. Nell'arco di una "storia d'amore con le isole che dura da una vita", una serie di strani casi lo ha portato a intraprendere due viaggi in Micronesia che si sono poi cristallizzati nell' Isola dei senza colore, forse il più personale fra i suoi libri - e insieme aperto su una prospettiva sconfinata di orrori, meraviglie e misteri. In realtà si tratta di due viaggi, paralleli e indipendenti, nelle zone più remote della natura e della malattia. Per uno scienziato, infatti, le isole sono non soltanto mondi a parte, sempre collegati a immagini paradisiache o infernali, ma laboratori dove studiare in condizioni ideali, come accadde a Darwin, gli esperimenti della natura. Così, Pingelap e Pompei, sperdute nel Pacifico, appariranno come una variante del Paese dei ciechi di H.G. Welis: abitate da una comunità che soffre di cecità cromatica completa ed ereditaria - in una terra che è un tripudio di colori. Mentre a Guam Sacks dovrà indagare su una malattia devastante e tuttora inspiegata, il lyticobodig, che colpisce con una sorta di paralisi progressiva, spesso combinata con l'ottenebramento mentale, solo certi abitanti dell'isola, i chamorro, e solo quelli nati in certi anni. La massima incidenza del male si incontra in un luogo di intatta bellezza, Umatac, quasi fosse "la stele di Rosetta delle malattie neurodegenerative", dall'Alzheimer al Parkinson. Sacks ci racconta questi suoi viaggi passo per passo - o meglio salto per salto dei minuscoli aerei che lo trasportano come cavallette da un'isola all'altra. Ed è come se un Melville neuro-botanico ci riconducesse alle Encantadas per metterci di fronte, con partecipazione profonda e magistrale arte narrativa, all'indecifrato rapporto fra la mente e la natura che ci circonda e di cui siamo fatti.
Data pubblicazione
01/01/1997