Cantame chella canzone d' 'o paese tujo ca me fa venì 'a nustalgia d' 'o paese mio, fa dire Fellini al Nano, che lo chiede alla Donna Cannone. Cosa ci spinge a condividere l'ascolto intimo delle altrui gioie, amarezze e dolori? A quale comando obbediamo quando siamo mossi a commuoverci per emozioni che non sono le nostre? I ricordi di Nicola Scotto di Carlo risvegliano quelli del lettore in una prosa piana e limpida. Chi scrive e chi legge fanno amicizia mentre si accompagnano. Una parola dietro l'altra. Gradualmente, lungo lo scorrere del racconto, l'Ulisse che è in noi si sorprende, non più solo, a illuminare ombre di avvenimenti lontani. Come in un firmamento, punti brillanti rischiarano frammenti di noi stessi rivelando un nostro candore nascosto. Questa "Storia di Mare" vuole trasmettere i pensieri dei padri ai figli in maniera esplicita, mediante l'uso della parola scritta. Pare quasi indicarci che, altrimenti, l'impiego di nuovi e raffinati strumenti tecnologici rischia di trasfigurare la memoria in souvenir. Secondo Nicola Scotto siamo orientati a ruoli predeterminati dalle lontane luci e ombre di chi ci ha preceduti. Avvertiamo ancora più consapevolmente di essere, noi, gli antenati di altri e del loro lontano futuro. Cantaci, Nicola, quella canzone del paese tuo che ci fa venire le nostre nostalgie.