Vincenzo Sorrentino partì per la fantastica impresa il 2 giugno, sospinto dall’entusiasmo dei suoi ammirati consoci. Egli si servì di una canoa regolamentare da passeggio, del tipo romano, adattata per l’impresa con piccole modifiche. Furono infatti creati, all’interno, per mezzo di paratie stagne, cinque compartimenti per far sì che gli indumenti e il materiale di scorta non fossero in pericolo. Abolito il posto del timoniere, fu sostituito con un cassone capace di contenere un serbatoio di 22 litri di acqua e al di sopra di questo fu installata una bussola illuminata da un lanternino (in modo da renderla visibile ventiquattro ore su ventiquattro). A prora fu anche applicata una lanterna ed ai lati dello scafo due alette tali che quando negli approdi di fortuna fosse stato costretto a tirare a terra da solo l’imbarcazione, avrebbero protetto il fasciame dallo strofinio contro il terreno evitando così possibili e facili avarie. Il raid, singolare e di difficile attuazione, fu autorizzato dalla Federazione Italiana Canottaggio ed ottenne il riconoscimento del C.O.N.I. Furono giorni difficili di crociera dura e faticosa vissuti con l’ideale di portate il saluto di Roma Capitale a Tripoli, capitale dell’Italia africana. Giorni e giorni vissuti circondato da un silenzio quasi mistico, Sorrentino affrontava se stesso combattendo una battaglia terribile non solo sul piano fisico ma anche mentale. Battaglia che doveva concludersi trionfalmente in terra d’Africa il 4 agosto 1930.
Data pubblicazione
01/01/1939