Correva il 14 marzo 1962 quando l’Hedia, un mercantile di 4 mila tonnellate varato nel 1915, battente bandiera liberiana ma di proprietà sotto copertura, della Compania Naviera General S.A. di Panama con recapito a Lugano presso il Banco di Roma, con diciannove marinai italiani e un gallese a bordo, scomparve al largo delle coste dell’Africa Settentrionale. Un messaggio radio lanciato dal comandante Federico Agostinelli di Fano, riferiva che la nave stava attraversando una tempesta forza 8. Il presunto naufragio della Hedia fu immediatamente accompagnato da voci contraddittorie, sospetti e soprattutto misteri. Alcuni ipotizzarono perfino il siluramento da parte di unità della marina militare francese, impegnata nel Mediterraneo a stroncare il rifornimento di armi al Fronte di Liberazione Algerino, magari frutto di un tragico errore. Amintore Fanfani, all’epoca presidente del consiglio, a margine di un incontro con i familiari dei dispersi, ebbe a dire: «Per venti persone non si può fare una guerra». Sullo sfondo lo sfruttamento di idrocarburi del Sahara, l’improvvisa uscita di scena di Enrico Mattei, che il 6 novembre si accingeva a firmare un accordo strategico con il presidente algerino Ben Bella, e di lì a poco avrebbe incontrato a Washington, il presidente Kennedy, per un riconoscimento politico, nonché la crisi di Cuba. Sparirono venti marinai in circostanze nebulose ma la magistratura italiana non aprì un fascicolo. La denuncia sul caso fu insabbiata in un cassetto istituzionale a Trieste, nonostante la documentata denuncia del triestino Romeo Cesca, padre del giovane marconista di bordo, Claudio Cesca. La Hedia levò le ancore da Venezia e caricò ufficialmente concimi a Ravenna, da cui partì il 16 febbraio 1962 diretta in Spagna, con uno scalo intermedio a Casablanca sulla rotta del ritorno. Le lettere di alcuni marinai alle famiglia attestano che il 5 marzo la nave era a Burriana e poi a Tarragona, mentre il 10 successivo a Casablanca. Qui imbarcò fosfati per 4 mila tonnellate, con destinazione Porto Marghera. Il 21 marzo il centro radio di Tunisi captò un messaggio all’aria, poi rilanciato il 22 anche dal comando inglese di radio Malta, con il quale di dava informazione a tutti i natanti in navigazione che il mercantile Hedia aveva notificato la sua posizione a ridosso dell’isola di La Galite, aveva l’apparato radio malfunzionante, e si trovava in difficoltà a causa di una burrasca. Che cosa accadde a bordo per non trovare il tempo di lanciare un mayday, quale evento così, improvviso e non certo una tempesta annunciata e affrontata coscientemente, colse di sorpresa l’equipaggio? La nave Hedia era uscita fuori rotta a causa della tempesta, e forse in area sottoposta a vigilanza francese? C’entra qualcosa che Francia e Algeria stavano proprio in quei giorni trattando l’accordo di Evian in parte elaborato da Enrico Mattei, al quale non avrebbe certo giovato la notizia di un siluramento anche se solo per errore da parte transalpina? Il 14 settembre il quotidiano Il Gazzettino di Venezia pubblicò una foto scattata da un reporter dell’United Press, Jim Howard, che riprendeva un gruppo di prigionieri europei nell’ambasciata francese ad Algeri il 2 settembre del 1962. Fu così che la signora Balboni, moglie del cuoco di bordo Ferdinando, lo riconobbe, e tal modo avvenne per la madre del secondo ufficiale Elio Dell’Andrea, che identificò il figlio, per i familiari del fuochista Giuseppe Orofino, del marinaio di coperta Filippo Graffeo e del marconista Claudio Cesca: tutti firmarono davanti ad un notaio, il “riconoscimento senza possibilità di equivoco”. Dopo qualche mese la Liberia chiese ai Lloyd’s di cancellare la Hedia dal registro navale, l’assicurazione Vittoria di Milano pagò 110 milioni di lire all’armatore. Il 31 luglio alcuni parlamentari del 5 Stelle, basandosi su questa inchiesta, hanno inviato un’interrogazione sul caso al governo Renzi: a tutt’oggi, però, non è pervenuta alcuna risposta dal primo ministro italiano. Gianni Lannes ha dimostrato che le verità ufficiali italo-francesi sul caso, ovvero il naufragio, non sono veritiere, e che la fine di Mattei ha un altro movente sepolto nell’ombra delle verità indicibili. L’autore l’11 febbraio 2016 ha indirizzato una lettera aperta al presidente francese Hollande, tramite l’ambasciatore Catherine Colonna, per sapere dove sono sepolti i marinai dell’Hedia. Una strage non va mai in prescrizione. La Procura della Repubblica di Bergamo adesso ha finalmente aperto un’inchiesta dopo più di mezzo secolo di insabbiamenti e depistaggi istituzionali.