Il grande fiume dei nostri emigranti, quella sorta di «Ulisse collettivo» che si spinse fino a toccare, con le sue peregrinazioni in età contemporanea, i più disparati angoli del mondo, giunge con questo secondo volume della Storia dell’emigrazione alle sponde del suo approdo. Anche la dimensione dell’arrivo, del resto, si propone come una parabola non sempre conchiusa; in moltissimi casi l’esito «definitivo» è solo, a sua volta, la tappa di un ciclo ancora più ampio, destinato ad approdare esattamente al punto da cui aveva preso le mosse, a quella Itaca italiana che rimane comunque nell’orizzonte delle nostalgie, se non delle aspirazioni di tutti i nostri emigranti. Ma a fronte dei molti che alla fine sono rientrati, moltissimi hanno davvero fissato per sempre altrove le loro radici, dando vita dapprima a collettività e poi a foltissime discendenze di sempre più remota origine italiana. Delle loro esperienze e di ciò che esse costituirono e ancora costituiscono nella storia del mondo contemporaneo e in quella del nostro paese si occupa il volume. Più di quaranta studiosi analizzano, area per area, le peculiarità e i caratteri del variegato e mutevole insediamento all’estero di italiani. I processi d’integrazione e quelli di brusca assimilazione che in ogni paese di arrivo si realizzarono ci consegnano un’immagine in gran parte nuova e originale. Le fasi immediatamente seguite all’arrivo, l’arco di vita delle prime generazioni e lo stratificarsi, fuori d’Italia, di quelle via via succedutesi nel tempo sono analizzate in ciascuno dei paesi in cui gli immigrati arrivarono e si stabilirono. Dal Brasile agli Usa, dall’Argentina all’Australia, dalla Russia all’Oriente, dall’Europa continentale alla stessa Africa delle «colonie» di diretto dominio politico, gli immigrati italiani misero a frutto le proprie competenze per costruirsi un destino migliore e diverso, con ogni probabilità, da quello che li avrebbe attesi in patria. Ma nel farlo si scontrarono con una serie prevedibile di difficoltà. Le esperienze dei migranti furono, nelle varie parti del mondo da essi raggiunte, simili solo in parte, a dispetto delle comuni provenienze (dal Mezzogiorno o dal Nord, da questa o da quella regione italiana, dal mondo rurale e da quello operaio ecc.), assumendo poi significati e aspetti particolari di compattezza o di relativa «tenuta etnica» soprattutto in alcune aree sufficientemente omogenee (il Brasile meridionale), ma talora anche in interi paesi (l'Argentina). Superata la fase delle «piccole Italie», sia urbane che rurali, poi quella delle naturalizzazioni più o meno forzose, dell’ascesa sociale, e dei progressivi «ambientamenti» assicurati in contesti sempre meno ostili e «stranieri» da stuoli di ethnic brokers (comprensivi di boss, padroni, notabili ecc., talora anche in odore di criminalità mafiosa), gli immigrati e i loro figli intrapresero un lungo cammino che li pose a contatto dapprima con le legislazioni e con le normative delle rispettive patrie di adozione; poi con l’opinione pubblica, non sempre benevola, dei paesi di arrivo; e infine con una vasta gamma di situazioni destinate a incidere non poco sulla loro configurazione di «italiani fuori d’Italia», o meglio di cittadini – americani, australiani, eccetera – «di origine italiana». Si incontrano così, lungo i percorsi dei nostri emigranti, la Chiesa cattolica e missionaria, le ramificazioni diplomatiche dell’Italia liberale, fascista e repubblicana (Consolati, scuole «nazionali», Fasci italiani all’estero ecc.), i nuclei dell’associazionismo politico e sindacale affermatosi di volta in volta nella penisola, comprese le propaggini radicali e «sovversive» di un movimento operaio che ha conosciuto, nei confini del paese Italia, non poche e non semplici articolazioni. Un processo nel quale si sono via via perdute le tracce dell’identità linguistica di partenza, ma in cui si sono progressivamente esaltate anche (nella pratica sportiva, nella religiosità, nell’alimentazione, nella canzone e così via) le espressioni più durevoli e a tutt’oggi più vistose e condivise dell’«italianità». A una simile «italianità» – concetto difficile e sfuggente, e però corposo nella sua forza di evocazione – fecero e spesso tuttora fanno riferimento le definizioni correnti e meglio divulgate, nella letteratura e nella fiction cinematografica o televisiva, dei nostri immigrati e delle loro discendenze. E i nomi particolari e i luoghi specifici dell’epopea che qui si racconta, le singole odissee che stanno dietro all’Ulisse collettivo di cui stiamo ragionando, acquistano valore all’interno del grande quadro nel cui brulichio sono messe in scena. È la storia d’Italia, di tutta l’Italia in età contemporanea, che trova riscontro in queste pagine. E insieme con essa – il lettore non farà fatica ad accorgersene – una parte non secondaria ed effimera di altri cruciali pezzi di mondo.