La storia dei popoli antichi, assurti a un certo grado di civiltà, ci fornisce diversi esempi dell’uso che fino dal loro tempo si faceva delle vie d’acqua interne, fornite dai corsi naturali, come vie di comunicazione; e ciò si verificò nella nostra penisola all’epoca degli Etruschi e dei Romani. Con la caduta di Roma e dietro il turbine delle invasioni barbariche, anche le vie d’acqua terrestri, con tutte le istituzioni che vi si connettevano, soggiacquero al generale sfacelo e per diversi secoli non si presero iniziative intorno alle vie di navigazione interna. All’epoca dello sviluppo dei Comuni, spinti dal bisogno di riaprire comode vecchie vie di comunicazione e di aprirne di nuove in relazione agli aumentati scambi commerciali, si sentì la necessità di migliorare i corsi d’acqua esistenti e di ricorrere all’apertura di canali nell’interesse della navigazione. Sul principio del secolo XII si ridestò nella Valle Padana una intensa attività nel procurare i necessari sbocchi al mare del crescente commercio, tanto che a brevi intervalli di tempo si succedettero le aperture dei più importanti navigli, e si regolarono i tratti terminali di alcuni fiumi, derivando da essi nuovi canali sia per l’irrigazione e per fornire energia a opifici, sia per la navigazione. Mentre negli altri paesi europei i canali artificiali furono per la massima parte costruiti all’unico scopo della navigazione, i canali italiani, invece, furono nella quasi totalità aperti con fini molteplici, essendosi aggiunto allo scopo della navigazione quelli dell’irrigazione, della produzione di forza motrice, della bonificazione idraulica, della difesa di corsi d’acqua naturali. Tale pluralità di scopi dei canali italiani, se originariamente poteva costituire un vantaggio, poiché con un’unica spesa di impianto si potevano realizzare notevoli benefici agrari, industriali e commerciali, dal punto di vista della navigazione costituiva, invece, un difetto della rete, in quanto gli interessi di tale attività venivano spesso a trovarsi in collisione con quelli estranei, così da esserne danneggiati. L’invenzione delle conche, o “sostegni mobili di navigazione”, permise di vincere una delle maggiori difficoltà incontrate, come quella di superare le forti differenze di livello; cosicché fu realizzata, nel volgere di tempo relativamente breve, una fitta rete di canali – tuttora esistente – che collega tra di loro i laghi di Como e Maggiore, ed entrambi con il Po, e questo con i principali suoi confluenti come tutti gli altri fiumi dell’estuario veneto. Oltre alla rete di canali delle pianura padana, furono realizzate in diverse epoche, ma soprattutto dopo il XV secolo, le due reti secondarie e distaccate dei canali toscani e pontini, che si svolgono rispettivamente nelle pianure fiancheggianti i bassi corsi dei fiumi Arno e Ombrone e Tevere. La navigazione interna della Toscana, per la configurazione e posizione delle sue vie e per la diversa importanza di queste, poteva essere divisa, al principio del secolo XX, nei gruppi seguenti: corsi d’acqua che, partendo da Vecchiano, attraverso il lago di Massaciuccoli e i canali Le Quindici, Le Venti, Malfante e Burlamacca, sboccano nel porto-canale di Viareggio; fiume Arno, il quale, dopo aver bagnato Firenze e Pisa, va a sfociare in mare a poca distanza da Pisa stessa, nei tratti in cui era navigabile; canale di Ripafratta; canali Buggiano – sbocco nell’Arno e del Terzo; canali Maestro del padule di Fucecchio e Usciana; canale Pisa – Livorno, detto “ dei Navicelli ” e canale Emissario di Bientina, il cui corso è comune a quello del primo nella parte terminale, in prossimità del mare; vie d’acqua della pianura grossetana, comprese tra i fiumi Bruna e Ombrone, facenti capo al porto-canale di Castiglione della Pescaia e alla foce del canale emissario della Marina di San Rocco , attuale Marina di Grosseto; fiume Albegna nel tratto terminale.