Si arriva a Venezia come quando, attraversati tutti i meandri dell'insonnia, si finisce per approdare sulla spiaggia di un sogno. Si vola verso Venezia come ad un appuntamento d'amore. L'ansia del desiderio fa contare i minuti, lenti. Disperiamo di raggiungere la felicità. La città non appare ancora. Nulla l'annuncia. La cerchiamo a levante. Ci aspettiamo di vederne qualche segno, e di veder ondeggiare sullo sfondo del cielo le bandiere della nostra chimera. L'orizzonte, in cui essa sfugge, è un infinito muto, risplendente e deserto. Talvolta abbiamo creduto di scorgere una torre, un campanile sulla distesa marina; ma dubitiamo del miraggio salino. È il mare? È la terra ferma? O piuttosto una mescolanza fluida, un trasparente accordo di due impasti cromatici sulla tavolozza? Tutto è cielo. È il cielo immenso delle saline, una vasca di rosa e id azzurro tenero, un oceano di madreperla, che irida, qua e là, qualche perla di nuvola. Chiamiamo il mare, e l'abbiamo sopra di noi, questo firmamento tranquillo. Poi, il crepuscolo si infiamma. Una macchia di sangue cola sulla volta e si spande verso la terra. Venezia continua a non apparire ancora. Essa è là in fondo, tuttavia, nell'ombra lucente, di un viola così delicato e così languido da far pensare al sorriso della voluttà dolorosa. André Suarès, Viaggio del Condottiero.
Data pubblicazione
01/11/2001