Negli orizzonti dell’ideale neoclassico, Jean Houel era molto attratto dalle antichità siciliane, che vedeva custodite come in un santuario. Scriveva: «Vi si trovano due anfiteatri, sei teatri, ventisei templi, di cui diversi ancora intatti e abbastanza ben conservati, tre monumenti trionfali, palazzi, mura di città, ponti, che rivelano ancora l’antica struttura muraria, serbatoi destinati alla raccolta dell’acqua, acquedotti, pozzi scavati nella roccia con comunicazioni sotterranee; altri pozzi di terracotta, bagni di diverse specie, tombe diversissime fra loro per forma, dimensione e fattura, scuderie antiche». Mettendo a frutto le proprie facoltà di pittore e architetto, egli concentrava quindi il maggiore impegno investigativo su tale terreno, attribuendo al rapporto testo-immagine un rilievo particolare, sul piano tecnico oltre che estetico. Offriva in questo modo materiali utili all’archeologia, che usciva intanto dal bozzolo dell’antiquaria. L’insieme del Voyage è tuttavia quello di una narrazione odeporica complessa, che ritrae con accuratezza pure i caratteri e la vita sociale dell’isola. Il viaggiatore francese si riprometteva di raccontare infatti una Sicilia più ampia di quella che era stata annotata fino a quel momento dai visitatori nordeuropei. Per questo, soggiornò nell’isola per diversi anni, dal 1776 al 1779.