L’ARO, o autorespiratore a ossigeno è quell’oggetto che tutti i subacquei conoscono per almeno tre ragioni. La prima perché è stato reso famoso dall’impiego che ne fecero gli incursori della nostra marina militare durante la seconda guerra mondiale; la seconda perché nell’immediato dopoguerra, non essendo ancora disponibile su larga scala l’autorespiratore ad aria, fu l’apparecchio utilizzato dai sommozzatori della prima generazione nelle loro attività commerciali e nella caccia subacquea; la terza, perché da alcuni anni a questa parte sono molto in voga i rebreather, e l’ARO è, appunto, il primo rebreather della storia. Com’è noto, il rebreather è quell’apparato che, eliminando l’anidride carbonica prodotta, ricicla o produce la miscela respiratoria più opportuna in base alla profondità alla quale il sub si trova a operare, e al di là dell’interesse storico rivestito, il suo impiego in addestramento impone al subacqueo un continuo e utilissimo check di tempo e profondità: il fatto che si respiri ossigeno puro, con tutte le problematiche che ciò comporta - intossicazione da CO2, iperossia, anossia – fa sì che si acquisisca una definitiva consapevolezza delle varie sintomatologie, imparando a gestirle e ad evitarle. Il senso del suo utilizzo sta dunque nel fatto che le nozioni teoriche che con esso si acquisiscono, unite alla gestione del proprio comportamento durante l’immersione, portano il subacqueo a mutare il proprio modo di operare anche con attrezzature tradizionali, elevando notevolmente i margini della propria e altrui sicurezza.
Data pubblicazione
01/02/2004