Il libro ricostruisce nella sua prima parte le operazioni che portarono a quel risultato e, soprattutto, offre ulteriori probanti riscontri documentari. Già operando sull'elenco Onore ai Caduti, approntato su impulso dell'Ass. Naz. Superstiti e Reduci e Familiari dei Caduti della Divisione Acqui, e del gen. Sapielli (3860 nomi, da ridurre a 3842 per alcune duplicazioni), Filippini era giunto ad una cifra approssimata di 1629 militari morti in combattimento o per fucilazione (cui si potrebbero aggiungere - ma con opportuna distinzione - i 1300 (anche qui la "vulgata" sale a 3000) periti nell'affondamento delle navi trasporto-prigionieri nella baia di Argostoli. Il ritrovamento, presso l'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, di una Documentazione completa relativa ai Caduti e dispersi [...]. inquadrati nella divisione Acqui e relativi reparti (4666 nominativi, che si riferiscono a deceduti prima e dopo l'8 settembre) ha permesso al ricercatore, effettuati i vari scorpori (c'è che chi morì lontano dalle isole Jonie, chi deportato dei campi; chi passò nelle fila della resistenza greca...) di giungere alla cifra di 1647 militari morti in combattimento o per fucilazione. E questi ultimi non sono migliaia, ma un numero che potrebbe essere compreso tra le 350 e le 550 unità. Ma questa non è l'unica "scoperta" di Filippini. Che ha rintracciato anche la relazione vergata nel 1948 dal colonnello Livio Picozzi - e diretta al governo De Gasperi - in cui si evidenzia la coscienza di una "verità" assai diversa dal mito che in Italia si stava costruendo. E all'interrogativo "cosa conviene fare", il militare risponde così: [Occorre] 1 - lasciare che il sacrificio della Divisione Acqui sia sempre circonfuso da una luce di gloria; molti per fortuna sono gli episodi di valore, sia più individuali che collettivi [...] insistere sul "movente ideale" che spinse i migliori alla lotta...; 2 - non modificare "la storia già fatta", non perseguire i responsabili di erronee iniziative [e qui è facile riscontrare l'allusione ai comportamenti difficili da inquadrare e perciò controversi di Renzo Apollonio e del capitano Pampaloni] per non incorrere nel rischio che il "processo" a qualche singolo diventi il processo a Cefalonia; 3 - spogliare la tragedia del suo carattere compassionevole. Insomma: per 60 anni fonti militari e politiche hanno calcolato in 10mila gli ufficiali e i soldati della Divisione "Acqui" uccisi dai nazisti a Cefalonia (e tutto ciò risultava da una semplice sottrazione: circa 11 uomini d'organico meno i 1286 rimpatriati nel novembre 1944) e ora si scopre una mistificazione che sembra fatta apposta per "riabilitare" il ruolo del Regio Esercito dopo l'otto settembre. Ma non è questo il solo valore del volumetto, che riapre nuove ferite analizzando il comportamento - criminoso? O poco attento? - degli Alleati che silurarono il 18 ottobre 1943 le navi "Sinfra" e "Petrella" cariche di prigionieri italiani imbarcati dai tedeschi a Creta. Ma interessante è anche la difesa dell'operato del generale Antonio Gandin (che per Paolo Paoletti, invece, come vedremo prossimamente, diventa l'imputato numero uno), e l'analisi del comportamento delle Forze Armate rispetto al "caso" Cefalonia, con una cronistoria che inizia nel novembre 1944 e termina difatto ai nostri giorni. Con poco onore, si direbbe, per le Autorità Militari di ieri e di oggi.
Data pubblicazione
01/05/2006