La spiaggia è un laboratorio di limiti e di confini en plein air; è il luogo dove al bambino è permesso spogliarsi dei suoi abiti cittadini (quelle odiose scarpe!); dove per chilometri non incontra ostacoli verticali; dove vive una orizzontalità non solo geografica, ma anche relazionale. Dove mischia il liquido al solido, ritrovando la stessa cultura anfibia che ci ha fondati, e che conserva nella memoria filogenetica un souvenir ancora forte. Il bambino incontra la spiaggia senza il minimo imbarazzo: la tocca, la mangia, la sfiora, la scava, la riempie, ci si veste. Volta le spalle alla terra, guarda il mare, ne è attratto come se quella distesa d'acqua fosse una potente calamita: entra ed esce, beve e vomita, costruisce con la sabbia forme di dialogo che il mare spegne o modifica, solo per ricominciare da capo a raccontare e a raccontarsi, ogni volta con una nuova storia. Ed è proprio in questo dialogo a tu per tu con il mare e con la natura che il bambino inventa la fragilità, l'effimero, la provvisorietà nelle forme dei fenomeni.
Data pubblicazione
12/10/2018