La Germania imperiale che, sul finire del 1918, perdeva la guerra perché stremata dalla fame, fiaccata dal blocco terrestre e marittimo, esaurita nelle sue riserve di uomini e di energia, di fede e di intelligenza, sconfitta ma non vinta in sanguinose battaglie, ancora accampata in territorio nemico, giungeva agli ultimi giorni della grande tragedia con una forza quasi intatta, quella della sua marina. Nel disordine della rivoluzione, negli artati equivoci di una vittoria sulla quale l'odio della nemica Inghilterra tentava mercantilmente di speculare, la Germania perse anche questa sua ultima arma che avrebbe dovuto, nel pensiero degli Inglesi, diventare puro e semplice bottino da pi, rati. Poche giornate «rosse» valsero più che i lunghi anni di lotta ad estenuare e logorare la forza marittima germanica, a far cadere nel nulla decenni di pazienti e geniali fatiche. Quali poterono essere i sentimenti, i pensieri, la passione e la tragedia degli ufficiali di questa flotta che vivevano soltanto per le loro navi ed il loro dovere, completamente ignari delle forze oscure che stavano per esplodere, per sovvertire tutto un mondo considerato fino ad allora potente ed incrollabile? Questo libro, scritto da un ufficiale che visse tutti quegli avvenimenti, ci dice la verità su tale dramma. Diario semplice e sincero, senza artifici psicologici o esaltazioni retoriche, è un documento umano che fa capire e meditare. Dalla sua lettura si deve concludere che la vittoria della rivoluzione va ricercata sopratutto nella sensazione di instabilità, di incertezza, di timore e di pazzia collettiva che si impadronì di tutti nelle «giornate rosse»: di tutti, capi supremi e umili gregari.
Data pubblicazione
01/01/1932