Quando si dice zuppa, automaticamente pensiamo pane, eppure su questo ingrediente basilare, si soffermano in pochi. Innanzitutto è d’obbligo spiegare che il pane da usare dovrebbe essere casalingo, meglio ancora se cotto a legna, e comunque scegliere un buon pane è già assicurarsi una buona riuscita. Come ogni ricetta che si rispetti, anche la zuppa ha delle regole ben precise da seguire, come ad esempio nelle zuppe di pesce, il pane tostato o abbrustolito è d’obbligo. Di solito, in certe ricette, è previsto che sia soffregato con aglio fresco per esaltare ancor di più il sapore del pesce. Nelle zuppe contadine, spesso a base vegetale, si preferisce il pane posato, il pane del giorno prima. In entrambi i casi, il pane viene predisposto nei piatti, irrorato con il brodo, e lasciato inzuppare bene, tanto è vero che si dice che il pane è il meglio della zuppa. Se le zuppe di pesce, fra le quali trionfa il cacciucco, troneggiano nei migliori ristoranti e ricevono ovazioni nelle migliori guide, le zuppe di verdure non sono da meno. Rilanciate in questi ultimi anni e finalmente sfatato il “mito” della cucina povera, rivisto e trasformato in “cucina sana e intelligente”, sono le magiche interpreti delle sagre campagnole, le feste popolari che da sempre celebrano i prodotti della terra, ma non solo. Fino a pochi anni fa si pensava, ingiustamente, che il posto delle zuppe di verdura, fosse solo la sagra. Adesso, nell’immaginario collettivo si è aperto uno spiraglio a favore della cucina rustica, così mangiare una zuppa di farro in un ristorante famoso è diventato un must. Ed ecco che allora sono spuntati come funghi, ristoranti che prevedono interi menu di zuppe contadine. Non c’è da meravigliarsi se nei libri di ricette internazionali, troviamo la zuppa alla frantoiana vicino alla paella di pesce alla valenciana: da sempre capitana della sagra dell’olio, per gli amanti della cucina mediterranea ha finalmente trovato un posto nell’olimpo delle zuppe. I piatti di una volta erano semplici, poveri, ma non per questo mancavano di sapori, anzi: le zuppe di verdura sono una sinfonia di sapori, interpretata magistralmente da mani esperte, da occhi che non hanno bisogno di seguire un ricettario, perché il ricettario è la natura. Nella Toscana di 50 anni fa si seguivano le stagioni, si raccoglieva quello che cresceva nell’orto. E se l’inverno significava zucca, braschette e legumi, si cercava l’accordo perfetto fra questi ingredienti, cercando di cambiarne ogni volta il sapore aggiungendo ora un soffritto di lardo, ora un battuto di odori o un mazzetto di finocchio selvatico. Si tratta di una cucina completamente anarchica, una cucina “ad occhio”. Si cucina per la gioia di cucinare, perché ci piace mangiare: questa è la prima regola qui in Toscana, poi si cucina con il cuore, con pazienza, senza fretta. Ecco perché le ricette di una volta devono potersi raccontare, rimanere nella storia della nostra cucina, nelle nostre tradizioni. La zuppa ha bisogno di tempo, le donne di una volta ne avevano tanto, oggi è sempre più difficile, perché la vita stessa ha dei ritmi completamente diversi; ma trovare il tempo per ricreare i sapori di una volta è solo un piccolo sacrificio che ripaga con gli interessi.