Raccontare la storia del disastro navale dopo 74 anni, probabilmente interessa ancora a pochi, ma oggi lo studioso, ufficiale dell’Esercito, Giuseppe Chirico con il suo
Matapan, le voci di dentro della Prima Divisione riaccende l’interesse per quelle vicende che pubblicò nel 1995 suscitando con la sua ricerca molta impressione. Le poche centinaia di copie stampate andarono quasi subito esaurite e da allora ascoltò diversi reduci che alla fine dei loro giorni testimoniarono le sofferenze patite, in particolare ha raccolto ascoltando le voci di alcuni protagonisti per ciascuna nave che hanno vissuto quei momenti o in plancia o in coperta di una delle navi colpite a morte. Per capire cosa è successo la sera del 28 marzo 1941 preziose tre testimonianze dirette. Quella del padre, il sottocapo Antonio Chirico imbarcato sul Fiume, che in tarda età volle scrivere di suo pugno una relazione sulla sua tragica esperienza, di Vito Cavoni, secondo capo Radiotelegrafista del Pola. Vito svolgeva il suo lavoro in un locale adiacente e comunicante con la plancia Comando e “Volente e nolente, sono le sue parole, ero costretto a sentire tutto quanto si diceva in plancia.” La sua testimonianza per la prima volta sottolinea i tragici errori che portarono all’affondamento del “suo” incrociatore e ricorda le tante sofferenze dell’equipaggio che aveva tenuto la “schiena dritta e a testa alta” si sono scarificati.
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Incrociatore pesante Fiume |
Per ultima quella di Maurizio Camboni porta munizioni nel complesso abitano da 100/47 a bordo del Zara. Come altri testimoni che avrebbero voluto parlare già subito dopo la fine della Guerra, ma non trovò, come gli altri superstiti nessuno disposti ad ascoltarli.
La storia è nota. Il 29 marzo 1941 nello specchio di mare nei pressi del Capo Matapan, il punto più a sud della terraferma greca e della penisola balcanica la Royal Navy colpì e affondò il Zara, il Pola, il Fiume, i nostri incrociatori pesanti Classe Zara della Prima Divisione Navale della Squadra di battaglia della Regia Marina al comando dell’Ammiraglio di Divisione Carlo Cattaneo considerati tra le marinerie che hanno partecipato alla II Guerra Mondiale i meglio riusciti e i più equilibrati in corazza, armamento e velocità. La stessa fine toccò ai cacciatorpedinieri della Divisione Alfieri e Carducci. Mentre la nave ammiraglia, la corazzata Vittorio Veneto, al comando dell’Ammiraglio Angelo Iachino, colpita da un siluro fu gravemente danneggiata.
Quella battaglia navale concepita come azione offensiva contro la forte marina inglese, fu invece un disastro senza uguali, errori che si sommarono a errori, con migliaia di marinai in mare di notte a combattere contro il freddo. Il maggior numero di vittime si ebbe per l’incapacità di organizzare il recupero dei naufraghi. Gli inglesi recuperarono come naufraghi 55 ufficiali e 850 marinai italiani, oltre ai 22 ufficiali e 236 uomini presi a bordo dal Pola. I morti furono in tutto 2.331: 782 dello Zara, 813 del Fiume, 328 del Pola, 211 dell'Alfieri, 169 del Carducci e 28 di altre unità. A Matapan è successo di tutto e di più e i responsabili d quanto avvenne allora come oggi continuano a non rendere conto delle loro azioni. Nessuno chiese le ragioni della disfatta ai vertici della Marina, del resto l’unico che poteva farlo era il Capo del governo, Mussolini, la cui organizzazione era talmente carente che per il soccorso ai naufraghi inviò una lentissima nave ospedale che impiegò giorni lasciando marcire in mare tanti giovani.
Ancora sono coperte le immagini prese dagli aerei alleati, allora capiremo!
Per approfondire la vostra ricerca sul sito della libreria www.ilmare.com troverete decine di titoli sull’argomento MatapanFrancesco Chirico, omonimo dell’autore del libro, era un marinaio imbarcato sull’incrociatore Fiume. Prima di morire infilò in una bottiglia un messaggio scritto su un pezzo di tela. La bottiglia venne trovata nel 1952 su una spiaggia di Villasimius, Cagliari. Sulla tela era scritto: “
Prego signori dare notizie alla mia cara mamma mentre io muoio per la patria. Marinaio Chirico Francesco da Futani, Salerno: Grazie signori. Italia!”