Andar per Isole nel mare Egeo, ce lo racconta Roberto Soldatini

Scritto da Il Mare
31 agosto 2012
Andar per Isole è il titolo di una fortunata collana dell’editore Mursia nella quale l’indimenticata (ci ha lasciati nel 2001) carissima amica Gin Racheli ha descritto nei suoi libri, con pazienza e curiosità, tutti gli aspetti del luoghi che visitava, opere uniche, pietre miliari nella descrizione delle isole del Tirreno, da Pantelleria alla Maddalena, piccoli mondi, a cui poi rimaneva legata.
Non sembrerà irriverente se noi utilizziamo quello stesso suo titolo per ospitare il diario, le riflessioni, le indicazioni utili, l’Andar per le Isole dell’Egeo, di un navigatore solitario, Roberto Soldatini, violoncellista, compositore e direttore d’orchestra. “Non bisogna partire con l’idea di trovare quel che raccontano, ma scoprire quello che trovi”, afferma Roberto “perdendosi tra le isole greche.”
Così ha lasciato gli ormeggi a fine luglio partendo da Fiumicino con il suo Denecia II, un elegante Moody 44. Regolarmente ci spedisce il suo diario e quella che segue è la prima puntata dedicata alle isole di Kythnos e Mykonos.
Andar per le Isole: diario, riflessioni, indicazioni utili di un navigatore solitario
Passando l’antico faro di Kea oggi pomeriggio ho trattenuto a stento un’emozione: sono nelle Cicladi! L’altro anno, dopo avere percorso migliaia di miglia da solo, dopo essere arrivato a Istanbul, essere disceso per le isole del Dodecanneso, una volta arrivato alla prima isola delle Cicladi, Amorgos, si è conclusa l’esplorazione dell’arcipelago a causa di un incidente in motorino. La riprendo ora, cominciando da nord, più facile, con il vento a favore. Mi avevano sconsigliato di venire da queste parti perché in agosto, dicevano, qui il Meltemi è troppo forte e c’è “casino”: troppa gente, troppe barche. Meno male che difficilmente do retta a chi ragiona per sentito dire o per luoghi comuni... Innanzitutto io ho una barca a vela, non a motore, e il vento è il suo habitat naturale, anche se a volte può sembrare troppo forte, lo preferisco alle bonacce del Tirreno: alla fine avrò speso più di gasolio per circumnavigare l’Italia che in due mesi di Grecia. In secondo luogo il Meltemi è un vento costante, anche se a volte a chi non lo conosce può sembrare imprevedibile, con le sue zampate improvvise di raffiche molto, molto forti, ma con un po’ di esperienza, seguendo i consigli dei marinai greci, consultando i portolani dettagliati che si trovano qui lo si può imparare a conoscere e quindi a prevenire. Infine, per quanto riguarda l’affollamento se una barca sola, la mia, in mezzo a una baia a poche miglia da Atene a Ferragosto è considerato “casino”... Le isole più gettonate tipo Mykonos e Santorini sono sicuramente più affollate, ma  due isole su una ventina da vedere direi che ci si può stare no? Inoltre dopo avere assaporato la quiete di quelle meno battute un “bagno di folla” in quelle più modaiole può rappresentare un diversivo interessante. Viceversa, basta evitarle.


Kythnos
Provenendo da Atene bisogna scegliere a quale isola approdare per prima tra quelle delle Cicladi più vicine. Non potendo vederle tutte in una sola volta traccio la rotta per quella che mi ispira di più: divertente potere scegliere tra tante isole, una più bella dell’altra, immaginarla, e poi andarvi alla scoperta appena approdato. 
A sin. Ferragosto, baia a nord est di Kythnos, una delle isole più vicine ad Atene: Denecia II è l’unica barca all’ancora in mezzo a questo paradiso. E dire che più di qualcuno mi aveva predetto vento impossibile, orde di turisti e di barche... Mai dare retta a chi parla per sentito dire o per luoghi comuni.
Cinquanta miglia di bolina e in sole sette ore Denecia è ormeggiata alla fonda in una baia a nord est di Kythnos. Il giorno di Ferragosto una sola barca, la mia, e nessuno sulla piccola spiaggia che raggiungo a nuoto. A poche miglia il porticciolo di Loutrà, la cui perfezione meraviglia e commuove: poche casette dalla forma cubica che abbracciano il porto, ordinate, bianche con gli infissi azzurri, sulla banchina reti da pesca, tutte gialle, chissà perché, piccole barche di pescatori coloratissime vicine alla spiaggia dove i tavolini dei ristoranti sono a un metro, forse meno, dal bagnasciuga. La musica tradizionale greca eseguita dal vivo in occasione della festa di Maria corona questo quadro greco.
Nella bellissima chora (a sinistra) disegni geometrici, a volte intervallati da fiori e barchette, dipinti con la vernice bianca sulle pietre delle strade. La tradizione del bianco, come colore dominante, insieme all’azzurro, per le case delle Cicladi pare abbia origine sia nel disinfettare con la calce, sia in un decreto di un ministro in tempi relativamente recenti. Anche l’altro paesino dell’isola, Driopida ha la stessa caratteristica. Più piccolo, meno turistico, meno frequentato, più tranquillo e spontaneo. C’è un teatro greco in miniatura, all’ombra di un grande albero, dove una volta mi sarebbe piaciuto suonare un concerto di musica da camera. Ci sono le cave di Katafiki, una profonda grotta scavata dall’acqua prima e dai minatori successivamente.
A Kolona, a sinistra) una delle spiagge più famose delle Cicladi, un lungo istmo di sabbia che collega la terraferma a un’isolotto sormontato da una chiesetta bianca, ci sarà qualche decina di persone, per i greci è stracolma, a me abituato all’affollamento delle isole italiane ad agosto sembra quasi vuota. Mi avventuro a piedi salendo sull’isolotto tra pietre e rovi per vedere l’istmo dall’alto, rimango lì a lungo da solo, e quando discendendo in un piccolo tratto di questa lunga spiaggia uno show che lungo la rotta per le Cicladi ho visto ripetersi più di una volta: gli equipaggi di due grossi motoryacht di cinquanta metri hanno sbarcato lussuosi lettini e li hanno collocati sulla spiaggia, su ognuno c’è un asciugamano arrotolato, grandi sacche con pinne, maschere e quant’altro, poi ci sono ombrelloni, sedie, tavolini, frigoriferi...
Questa volta il tutto è più maestoso del solito e c’è chi dice che sia la famiglia Reale d’Inghilterra. Con la mia solita curiosità, nonché faccia tosta, socializzo con l’equipaggio, formato da tre ragazzi biondi inglesi seduti all’ombra in attesa che ritornino gli ospiti (prima che arrivassi io gli hanno riportati a bordo dove viene servito il pranzo cucinato da un cuoco di Sorrento). Gli yacht viaggiano insieme, variano da un numero di due a quattro, con i membri di una sola famiglia e diversi amici. Non sono riuscito a scucire di più dalle loro bocche, ma due più due fa sempre quattro! Mi dicono anche che ogni giorno devono allestire questo ridicolo teatrino, ogni giorno una spiaggia diversa, senza mai fermarsi in un porto, senza scendere su una terra che non sia una spiaggia.

Una delle cose che sto imparando è che è stupido rimanere in porto a guardare qualche coraggioso che parte, si rischia di rimanere fermi per settimane aspettando che cali il vento e poi andare a motore. Il Meltemi infatti se c’è è sempre forte, altrimenti non c’è. In quasi tutti i porti le raffiche sono più violente che al di fuori, conviene affinare tecniche e istinto per ormeggiare e disormeggiare sotto raffica, come fanno i greci. In fin dei conti le barche a vela servono per andare a vela, anche con il vento forte, soprattutto quelle solide come Denecia, altrimenti meglio comprarne una a motore.

Un’altro yacht arriva, molto bello, dalle linee classiche, fa qualche bordo e poi ormeggia a vela, senza accendere il motore, passando in mezzo alle altre barche: fantastico virtuosismo. Avendo deciso di fare una nuotata mi dirigo verso quella barca per leggerne il nome. La bandiera è americana, ma su una sartia c’è la bandiera italiana, che potrebbe essere quella degli ospiti o del comandante, arrivo vicino allo scafo e mi salutano, allora chiedo: “Siete italiani?” - “Si” - “Bella barca” - “Grazie, vuoi salire per un aperitivo?” - “Grazie, beh non me lo faccio ripetere due volte!” - “Bene, la scaletta è dall’altro lato”. La persona che mi ha invitato, un bell’uomo dal sorriso gioviale, brizzolato, con gli occhi azzurri e la pelle bruciata dal sole ha un viso che ho già visto, ma non ricordo dove. Per raggiungere la scaletta giro attorno alla poppa così posso leggere il nome della barca, ma c’è scritto anche un altro nome: Vittorio Malingri. Ecco dove l’ho visto, alla presentazione del film Stretti al vento, un originale documentario nel quale vengono rivolte le stesse domande ai più famosi navigatori solitari oceanici italiani, trai quali Soldini e lui, comparando così i modi diversi di rapportarsi con il mare, la navigazione in solitario, la vita. Nel documentario Vittorio era il più simpatico: durante una delle traversate atlantiche si era fatto un’autoripresa nella quale appariva con la maschera di Pippo, e dopo una lungo silenzio diceva “questa esperienza mi ha profondamente cambiato”... La bella barca di venti metri è un progetto unico di German Freres del 1982, l’ha acquistata da poco e la usa prevalentemente per fare scuola di vela, infatti l’equipaggio è composto da sei allievi, tutti italiani, oltre che dal figlio Nico: alto, biondo, spalle larghe, con il sorriso stampato sul suo bel viso, sembra muoversi a suo agio su una barca a vela, e in effetti ci va da quando è nato. Beato lui. Vittorio è uno a cui piace parlare e raccontare, il che non mi dispiace, perché c’è da imparare. Paradossale e al tempo stesso divertente il fatto che nella nautica non solo non esiste una verità, non solo ognuno crede di avere ragione pur non essendoci una certezza assoluta, ma è sempre possibile che sia vero l’opposto. Per esempio ho sempre letto, sentito dire e creduto che il pozzetto centrale è più sicuro perché più alto, più lontano dalle onde di poppa e da quelle frangenti, lui invece vuole realizzare una copertura perché se con la barca molto sbandata qualcuno cade dal pozzetto centrale va a finire subito in mare. Dov’è la verità? Forse in mezzo, in medium stat virtus.
Vorrei non lasciare questa spiaggia, questo paradiso naturale ma ce n’è un altro ad attendermi prima di cena: vicino al porto c’è un rigagnolo di acqua bollente, termale, che si riversa in mare, in una vasca-diga realizzata con sassi. Quest’isola dovrò continuare a godermela ancora qualche giorno (eh, che “sacrificio”!): oggi Beaufort sette, domani otto. Tutti gli equipaggi sono nei loro pozzetti durante le raffiche più forti, si beve qualcosa, si socializza, si commentano le notizie meteo, si aggiustano le cime di ormeggio reciprocamente, si va a guardare l’altezza delle onde, si osserva una barca che si è avventurata fino a che non scompare all’orizzonte.

Mykonos
Sulla rotta di Denecia la prossima isola sarebbe Siros, ma arrivato all’estremità sud dell’isola mi ritrovo mare e vento contro. Troppa fatica risalire, troppa fatica bordeggiare, “vai dove ti porta il vento”, cambiamento di rotta: Mykonos. Le previsioni davano altra direzione e intensità del vento ma nell’Egeo, come ho già imparato l’anno scorso, carte sinottiche e siti meteo si possono consultare per essere sicuri che non ci sia una burrasca, altrimenti vale la pena di affinare l’istinto per immaginare dove il Meltemi s’infili, rafforzi, cali tra queste isole disposte a scacchiera a poche miglia l’una dall’altra.
Da trenta a trentacinque nodi di bolina e Denecia vola a otto nodi fino a Mykonos. Finalmente, l’isola più famosa della Grecia, la vedo per la prima volta. Mi avevano detto che è così, ma non pensavo così tanto... E ho detto tutto. Lingua parlata: italiano. Chora: bella quasi come nelle cartoline, ma molto ben fotografata, e quello che non mostrano le cartoline è il peggio. 
A sin. Foto simile a quelle delle cartoline (in alto), ma quello che le cartoline non mostrano è quello che c’è intorno (in basso): navi-grattacielo, traffico, veicoli parcheggiati ovunque, folle di turisti.

Barche in transito: tre o quattro mammut, ossia navi da crociera alti come grattacieli che spuntano da qualsiasi panorama si tenta di fotografare. Ormeggio: al porto nuovo, a circa tre chilometri dal centro abitato, in una landa deserta di cemento e polvere che con questo vento si infila dappertutto, nel porto antico sono ammessi solo motoryacht di ricchi. Densità di turisti: fiumane di gente che si riversano negli stretti vicoli. Attesa per un taxi dopo cena: un’ora. Macchine e motorini in affitto: esauriti. Viabilità a piedi: fare molta attenzione a schivare migliaia di motorini e quad, fornirsi di spalline per farsi strada tra duri deltoidi con i quali si viene continuamente in collisione.
Prezzi: tutto il triplo rispetto alla media delle isole greche. Negozi: uno ogni portone della città, molte gioiellerie e naturalmente neanche l’ombra di una libreria. Locali: ristoranti, bar, pub, a migliaia, ovunque, molto belli, alla moda, ma la qualità del cibo è quella che si trova attorno al Colosseo, al Pantheon, a Piazza Navona, compresi gli spaghetti scotti. Spiagge: le più famose, Paradise e Super Paradise, bellissime ma piene di ombrelloni, boom-boom-music, tanti parcheggi e traffico per arrivarci. Specie prevalente: gay, tutti uguali, prodotti con lo stampino, canotta con bretelle tipo filo interdentale che lasciano, non intravedere, ma vedere molto bene i muscoli sui quali hanno lavorato un anno per poi esibirli in posti come questo, tutti in discoteca gay la sera, tutti in spiaggia gay al risveglio, tutti a rifarsi il “trucco” prima del tramonto, tutti a prendere l’aperitivo ai bar gay friendly, tutti a cena ai ristoranti gay friendly, e l’indomani si ricomincia da capo. Fugaaaaaaaaaa!
Avevo programmato le Cicladi a settembre l’anno scorso, sarebbe stato sicuramente meno traumatico, se il trauma non l’avessi subito al piede, ma ormai sono qui quindi rimango almeno un giorno per visitare l’isola e un altro per raggiungere l’Antica Delos con un battello, perché ancorare lì con questo vento e lasciare la barca per visitare le rovine non è consigliabile, inoltre bisogna lasciare la baia entro le 15, non si può rimanere all’ancora per la notte nella baia antistante il sito archeologico. Ci vediamo lì alla prossima puntata.

Roberto Soldatini