Marco Tibiletti è spesso citato nel nostro blog, per rendersene conto basta digitare il suo nome nel campo ricerca, perché Marco è tante cose e anche perché ha inciso nel suo dna a grosse lettere la parola solidarietà.
È un marinaio, prima di tutto, con alle spalle più di trentamila ore di navigazione, ma è anche scrittore, famosa la sua gestione e traduzione dell’edizione italiana della Bibbia dei Naviganti, ossia il Corso di Navigazione dei Glenans.
Nel 1988 ha fondato l’Associazione no profit La Nave di Carta “per diffondere la cultura del mare e della navigazione a vela come mezzo educativo per i giovani, per la prevenzione e il recupero del disagio sociale, fisico e psichico”. |
Marco Tibiletti |
L’Asssociazione è una dei quattro soci fondatori dell’Unione Vela Solidale, di cui è vice presidente, nata per “cercare in mare la felicità” e “…per promuovere progetti di educazione, qualificazione e riabilitazione sociale realizzati attraverso l’utilizzo della vela…”. Con l’idea che le navi siano, come ha scritto Joseph Conrad, “Banco di prova e di temperamento, di coraggio, fedeltà e amore”.
A riprova di ciò, volentieri pubblichiamo questo suo diario di bordo della crociera fatta lo scorso mese di luglio da Cecina a Monastir con la sua goletta Oloferne partecipando alla campagna Boats4People: una coalizione internazionale di organizzazioni della regione Mediterranea, dell’Africa e dell’Europa, che chiede all’UE di porre fine ai controlli violenti e di smettere di perseguire chi presta soccorso ai migranti; e per costruire un sistema di allerta e di missioni in mare per monitorare le violazioni dei diritti umani dei migranti.
Boats4People, Diario di bordo
di Marco Tibiletti
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Lampedusa, lancio di fiori |
È di questi giorni la notizia che 400 persone sono sbarcate a Lampedusa. Primo pensiero: per fortuna sono arrivati tutti vivi. Secondo pensiero: ma allora sbarcano ancora a Lampedusa. E la mente corre al 19 luglio, quando da bordo di Oloferne abbiamo lanciato fiori nel mare di Lampedusa, davanti alla Porta d’Europa, in omaggio ai tanti migranti morti in questo mare.
A inizio aprile sono a Roma, sede Arci, davanti ad Alessandra Capodanno, giovane ed efficiente responsabile dell’Ufficio Immigrazione, Diritto d'asilo, Lotta al razzismo. Stiamo parlando della partecipazione della mia barca Oloferne al progetto Boats4People, che Alessandra mi spiega per sommi capi. Lorenzo Pezzani e Charles Heller, stanno al dipartimento di Forensic Architecture del Goldsmiths College di Londra. Attraverso testimonianze, modelli matematici del tragitto degli scafi e immagini satellitari, vogliono identificare le responsabilità di navi militari, forze dell’ordine o altri che ignorano o respingono le barche dei migranti che, attraversando il Canale di Sicilia, non ricevono soccorso e naufragano nel silenzio. Watch The Med è il loro progetto, e per lanciarlo hanno costruito la campagna Boats4People, concepita all’interno della rete Migreurope. Boats4People, una coalizione internazionale di organizzazioni della regione Mediterranea, dell’Africa e dell’Europa, chiede all’UE di porre fine ai controlli violenti e di smettere di perseguire chi presta soccorso ai migranti; e intende costruire un sistema di allerta e di missioni in mare per monitorare le violazioni dei diritti umani dei migranti.
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Pantelleria: cimitero delle barche |
Oloferne dovrebbe essere il Cavallo di Troia di questa campagna (che partirà da Cecina, andrà in Tunisia e concluderà la sua navigazione a Lampedusa) fungendo da catalizzatore di tutte le iniziative del progetto.
A una decina di miglia da Lampedusa siamo intercettati da una motovedetta SAR della Guardia Costiera che, accertata la nostra identità, prosegue il suo giro di pattugliamento.
Le due ore seguenti sono destinate alle ultime (finalmente le ultime!) pratiche burocratiche, presso i Carabinieri (che a Lampedusa hanno funzione di Polizia di frontiera).
Andiamo a dormire molto tardi e molto stanchi, ma la mattina del 16 ci svegliamo presto: durante la notte è entrato il previsto vento forte da maestrale e preferisco mettere l’ormeggio in sicurezza con una seconda àncora sopravvento.
Alle 10.00 vado a presentarmi al comandante della Capitaneria, il Tenente di Vascello Cannarile, e porto con me Alessandra Coppola del Corriere, che desidera avere alcune informazioni. Anche in questo caso, la formalità cede subito il passo a una schietta cordialità. Veniamo a sapere che la Capitaneria di Lampedusa ha grande disponibilità di mezzi (vedette SAR, aereo ed elicottero) e personale; e che è in grado di avere sempre in mare un mezzo operativo e di assicurare l’intervento di altri mezzi in pochi minuti, 24 ore su 24. Abbiamo la conferma che l’aereo che ci ha sorvolato il giorno precedente fa parte del piano europeo Frontex di pattugliamento e che appartiene all’aviazione militare portoghese. Il servizio di pattugliamento è attivo, ma trovare tutte queste piccole barche alla deriva è difficilissimo. Se almeno le autorità libiche e tunisine fornissero indicazioni sulle unità che sanno essere partite, ma che gli sono sfuggite, sarebbe più facile soccorrerle; ma questa collaborazione non c’è. Altra notizia è che i migranti cominciano a trascurare Lampedusa, dalla quale sanno che possono solo essere rimpatriati o chiusi nei centri di accoglienza (detenzione?), e che preferiscono provare a sbarcare direttamente sulle coste della Sicilia, dove è più facile non essere notati e disperdersi. Poi abbiamo l’ulteriore conferma che per la Guardia Costiera una qualsiasi barca in difficoltà non è un problema di controllo dell’immigrazione, ma un problema di soccorso e salvataggio; e qualsiasi barca malmessa, o con troppe persone a bordo, è considerata una barca in difficoltà. Ci sentiamo raccontare di ragazzi abituati a soccorrere diportisti in panne o barche da pesca in avaria, che si trovano davanti a relitti galleggianti di 12-14 metri, stipati all’inverosimile da 400-700 persone, adulti, vecchi, donne, bambini e neonati, stremati, terrorizzati, che hanno mai visto il mare e che non sanno nuotare. Terminate le delicatissime operazioni di trasferimento sulle motovedette, cessato l’effetto dell’adrenalina nelle fasi operative, quand’è andata bene gli occhi dei marinai si soffermano commossi sugli sguardi rassegnati e grati di donne e bambini; quand’è andata male, nei loro occhi rimangono le immagini dei morti annegati, che mai dimenticheranno. Usciamo dalla Capitaneria; nel sole abbacinante di Lampedusa sferzata dal maestrale Alessandra mi guarda e mi dice: “non ne avevo idea, ma sai che sono questi i veri eroi?”.
Al Bar dell’amicizia c’è la connessione wi-fi, ma è anche uno dei bar frequentati dai pescatori, così conosciamo Beppe e Turiddu, pescatori da sempre, e Dino, milanese che da vent’anni con i pescatori vive in simbiosi. Prima al bar e poi in barca, naturalmente si parla di come i pescatori (Lampedusa, diversamente dalle altre isole italiane, è una vera isola di pescatori) hanno vissuto il problema della migrazione, in mare e a terra. Sono vent’anni che i lampedusani accolgono profughi ed emigranti dal nord e centro africa. L’anno scorso è stato l’anno dell’emergenza, che ha messo momentaneamente in crisi un sistema di accoglienza e solidarietà ormai usuale e collaudato. Emerge un quadro molto diverso da quello mostrato dalla politica e dalla maggior parte dei media: un quadro fatto di porte aperte, di pasti caldi, di coperte e beni di conforto elargiti con spontaneità e semplicità, della rete clandestina di abitanti che favoriscono i contatti dei migranti con i loro familiari. Turiddu possiede un capanno degli attrezzi, una costruzione in cemento a un piano di circa 150 metri quadrati. L’ha messo a disposizione e si sono riparati dal rigore dell’inverno quasi ottocento persone, che hanno dormito sulle reti, hanno bruciato porte e finestre per scaldarsi e cucinare. Turiddu ha avuto danni ingenti, ma nei confronti dei migranti ha solo parole di comprensione, sa che non poteva andare diversamente, con alcuni di loro è rimasto in contatto, come tanti altri abitanti dell’isola. Di fianco al capanno c’è un piccolo pezzo di collina tra l’aeroporto e il mare, meno di un ettaro, dove si sono accampati più di 7000 profughi. È quella che i media hanno chiamato la collina della vergogna, ma per Turiddu e la maggior parte dei lampedusani è la vergogna delle istituzioni, che hanno abbandonato a loro stessi profughi e abitanti, creando delle condizioni insostenibili per entrambi. Le stesse istituzioni che neanche pensano di risarcire i danni subiti dagli isolani; ma che invece, sfruttando l’unico episodio di ribellione avvenuto sull’isola, in 24 ore hanno praticamente obbligato l’Autorità Marittima a dichiarare Lampedusa “porto non sicuro”, per l’impossibilità di garantire la sicurezza ai profughi. È stata un’operazione vile, che ha macchiato l’onore marinaresco dell’isola; ancora più assurda per il fatto che la Guardia Costiera ha comunque continuato a portare sull’isola le persone che salvava in mare. E l’isola, con il suo nuovo sindaco, rivendica la politica dell’accoglienza. E in mare? Ci rendiamo conto che, a parte aerei e satelliti, le centinaia di pescatori che incrociano tra la Sicilia e la costa africana sono quelli che hanno più probabilità d’imbattersi nelle imbarcazioni di migranti. Sappiamo già che a soccorrerli si rischiano denunce. Ma anche avvertire la Capitaneria di Porto e seguirli, monitorandoli fino all’arrivo della motovedetta, significa recuperare le reti e perdere una giornata di lavoro. Quante giornate di lavoro può permettersi di perdere un pescatore? Provo a suggerire una soluzione: che queste giornate siano riconosciute come fermo pesca, con relativa indennità giornaliera. Mi rendo conto che abbiamo passato ore a parlare d’immigrati e che anche questa volta, come sempre quando abbiamo parlato con pescatori, abitanti, uomini della Capitaneria di Porto, a Palermo, Pantelleria e Lampedusa, neanche è stato sfiorato l’argomento dell’immigrazione come problema; si è sempre solo parlato di come impedire che la gente muoia in mare.
Il 19 luglio è il nostro ultimo giorno a Lampedusa e qui oggi si conclude questa fase del progetto Boats4People, che passa il testimone al Festival cinematografico sulla migrazione. La conferenza stampa di chiusura a bordo di Oloferne è affollatissima, siamo in 52 persone a bordo, 52 persone che alla fine della conferenza stampa applaudono la barca (e il suo equipaggio), che è stata davvero il punto focale amato e apprezzato di questo progetto. Prima del tramonto usciamo dal porto e ci portiamo davanti alla Porta d’Europa, l’arco simbolo dell’accoglienza per chi arriva da sud in quest’avamposto dell’Unione Europea. Qui si svolge la cerimonia di chiusura. A terra, intorno all’arco, autorità, giornalisti, organizzatori, partecipanti; in mare noi. Alla lettura della serie di tragedie che sono avvenute in questo mare, in nome di tutti i morti in questo mare, da Oloferne ragazze di diverse nazioni del Mediterraneo gettano fiori in questo mare. È il nostro tributo a chi ha sperato di sfuggire alla miseria o alla morte nel suo paese e ha invece trovato la morte proprio in questo mare, questo nostro Mediterraneo culla di una civiltà comune a tutti i suoi popoli.
20 luglio, ore 05.30. Il porto di Lampedusa è appena tinto del rosa dell’alba e il silenzio è rotto solo dalle barche da pesca che entrano, che escono. Ieri sera abbiamo salutato tutti gli amici. Oloferne e il suo equipaggio per ora hanno finito il loro compito. Lasciamo al giardinetto di sinistra il faro di Capo Grecale, illuminato dal sole appena sorto, e mettiamo la prua su Marsala.
E so che torneremo.
Alcuni dati dell’Oloferne di oggi:
Costruzione: nel 1944, nel cantiere Russo di Messina
Materiale: in legno, a fasciame tradizionale con ossatura in quercia, fasciame in pino fruttifero e mogano; sovrastrutture in mogano e tek
Lunghezza ft: 23,00 m (18,50 m scafo + 4,50 m bompresso)
Baglio max: 4,30 m
Armamento: a goletta, con 2 alberi e bompresso
Velatura: 2 rande auriche, trinchetta e fiocco per circa 165 mq
Posti letto: 10 (2 cuccette matrimoniali, 2 cuccette singole, 4 brande singole) in open space per ospiti + 3 per equipaggio
Bagni: 2 per ospiti + 1 per equipaggio
Acqua dolce: 1.500 litri
Carburante: 1.500 litri