Che tonno mangiamo? Ce lo dice l’AGCI

Scritto da Il Mare
07 ottobre 2011
Vogavan tutte a scompigliata fuga
Quante navi rimase erano a noi;
E quei tavole infrante e tronchi remi.
Come di tonni o d'altri pesci in caccia.

Duemilacinquecento anni fa, Eschilo nei celebri versi dei Persiani paragonava la strage di Salamina a una mattanza.
La fotografia della targa incisa nel tufo invece ci racconta che nel 1859 a Favignana nella “Regina delle Tonnare” il raìs era Antonio Casubolo e si catturarono diecimilacentocinquantanove tonni.
Il quadro di tale Antonio Varni è del 1876 e mostra la lavorazione dei quei tonni.
Il bianco e nero è del 1898, più di un secolo fa, mostra una mattanza nella tonnara di Portoscuso, Isola San Pietro. Francesco P. Michetti nel 1907 fotografa la tonnara di Messina. Il Principe Francesco Alliata di Villafranca nel 1949 fotografa una mattanza a Castellamare e la
A. Varni, Favignana, 1876
didascalia della foto recita: “I tonnaroti che isseranno il fondo del “quatratu” e uncineranno i pesci finiti in trappola sono schierati su una fiancata del “vasceddru i libanti”.
 Anche Fosco Maraini, il padre della scrittrice Dacia, nel 1949 descrive un momento della pesca: “Sporgendosi oltre il bordo della “muciara” un pescatore scruta il fondo del mare attraverso lo specchio per controllare se i tonni sono giunti alla “camera della morte.
Queste foto sono tratte dal libro di Gaetano Cafiero dal titolo Il Principe delle immagini.
La fotografia di Herbert List che mostra un
F. Alliata, Messina 1949
F. Michetti, Favignana 1907
Portoscuso, 1897

Fosco Maraini, Messina 1949
H.  List, Favignana 1954
gigantesco tonno è del 1954. Quella di Melo Minnella è del 1962 e quella di Leonard Free è del 1975 tutte tratte dal libro di Vincenzo Consolo “La pesca del tonno in Sicilia”. L’ultima a colori è del sottoscritto ed è stata scattata nel 1982 a Favignana durante una delle ultime mattanze quando ancora si catturavano tonni da 500 e più chili.
Ma l’immagine sicuramente più drammatica è della primavera di quest’anno. È stata scattata da un reporter dell’agenzia ANSA, mostra una ventina di migranti scampati al naufragio di un carretta del mare che si sono salvati arrampicandosi sui tubolari di una enorme gabbia galleggiante contenente migliaia di tonni destinati all’ingrasso. La gabbia è trainata da due rimorchiatori ed è in viaggio verso Malta.
M. Minnella, Favignana 1962
M-Bizziccari, 1982
L. Freed, Favignana 1975


Ansa, primavera 2011
Una breve carrellata fotografica per descrivere come in meno di trent’anni, sia radicalmente mutata  la più che millenaria pesca del tonno, per effetto, quasi esclusivamente, della incredibile diffusione in tutto il mondo del sushigrade, la moda del sushi e del sashimi.
Giovanni Basciano
Dalle circa settanta tonnare fisse in funzione in Italia fino agli anni ’80, si è passati alle gabbie per l’ingrasso in alto mare dei tonni catturati con le reti a circuizione. Reti che si spostano dove in quel momento ci sia il mercato più conveniente.
Per comprendere i motivi di questa rivoluzione ne abbiamo parlato con chi si è sempre occupato di pesca e di tonni, ovvero con Giovanni Basciano vice presidente del settore pesca dell’Associazione Generale Cooperative Italiane (AGCI Agrital). Ha sessant’anni, è trapanese doc, ha vissuto e vive in quel triangolo d’oro dove erano in funzione le più importanti tonnare siciliane come quelle di Scopello, Bonagia, Formica, Favignana, S. Cusumano.
Ecco il suo racconto.
In quegli anni  non esistevano licenze ad hoc per pescare il tonno, le stesse barche attrezzate con il cianciolo per la pesca di pesce azzurro (alici, sarde, sgombri) dalla tarda primavera a inizio estate pescavano il tonno (quello che sfuggiva dalle tonnare fisse) utilizzando ciancioli più grandi e resistenti di quelli usati per le sardine.

Distribuzione del tonno e principali rotte migratorie
Il tonno che arriva nel Mediterraneo è in epoca riproduttiva ha nuotato per centinaia di miglia, ha smesso da tempo di mangiare e di grasso superfluo non ne ha più, tranne che nella pancia. L’unica parte ricca di grassi, la pancetta o ventresca, – peraltro una percentuale molto bassa delle carni del tonno – è la prelibatezza ricercatissima dai giapponesi per il sushi e il sashimi. Il resto del tonno finiva nelle scatolette e per una  piccola parte sul mercato locale del fresco.
Gli emissari giapponesi presenti già in tonnara usavano un tipo di spillone, lo sashibo, lo stesso che si usa per testare i formaggi, infilandolo nella pancia per ottenere un carotaggio del muscolo e così osservarne colore, consistenza, sapore e tutto ciò che permette l’apprezzamento del prezzo finale.
Le grosse aziende tonniere del sud come i Macaluso di Palermo o i Castiglione di Trapani, facevano questo grande business con le ventresche, mentre le scatolette finivano praticamente a gratis. Comunque noi mangiavamo dell’ottimo tonno in scatola che per loro, era un di più, “era grasso che colava”.
Ma alla fine degli anni ’90 i giapponesi e i coreani cominciarono nel Mediterraneo a finanziare degli impianti per lo stoccaggio dei tonni, gli inglesi lo chiamano rancing, come il recinto dove si tiene il bestiame. Le grandi navi da circuizione impararono a tenere vivo in mare il pesce una volta pescato. Mentre prima il tonno chiuso nella rete moriva per asfissia oltre che per intossicazione dell’acido lattico, che il pesce stesso dibattendosi produce all’interno dei suoi muscoli.  Il tonno è l’unico pesce – a differenza di tutti pesci che hanno la stessa temperatura interna del mezzo in cui vivono – ad avere il sangue caldo; per questo tutti i processi metabolici nel tonno sono molto veloci, processi che portano a rovinare le carni. I giapponesi insegnarono agli spagnoli prima e ai maltesi dopo a tenere vivo il tonno in mare, ovvero a non chiudere completamente la rete e a lasciare questa enorme gabbia sufficientemente aperta. I subacquei stimano la quantità e il peso dei tonni presenti perché quel tonno viene subito venduto a peso vivo.
Si è arrivati alla perfezione delle stime con le riprese video analizzate al computer. Da quel momento il tonno viene trasportato con molta lentezza verso le gabbie di allevamento dove starà al massimo tre mesi per ricostituire velocemente, mangiando pesce azzurro, quel grasso che aveva perso durante e prima dell’epoca riproduttiva. A quel punto tutto il tonno, non soltanto la pancetta, diventa sushigrade. La rivoluzione è questa: non ammazzarlo subito per valorizzarlo. Una delle condizioni del sushi, oltre al grasso e all’essere freschissimo, è che deve essere ucciso senza soffrire a differenza di quello che succede nella camera della morte della tonnara o nelle reti dove muore per asfissia, una morte molto lunga e sofferta. Sbattendo si procura traumi e per il giapponesi queste carni non hanno valore. Avendoli invece in gabbia si può macellare il tonno con tutte le attenzioni per avere una morte istantanea, le stesse che si usano per la macellazioni dei bovini. Al di la degli aspetti etici questa pratica ottiene il risultato di evitare tutto lo stress e i prodotti secondari dello stress che è uno stato fisico ma anche uno stato biochimico. Quindi oggi quel tonno è perfetto per il mercato giapponese: viene alimentato per ingrassare al punto giusto e viene ucciso e lavorato in condizioni perfette perché la carne sia tutta utilizzabile per il sushi, senza ammaccature né lividi.
Quel tonno catturato in modo cruento con la mattanza andava bene per le nostre bistecche alle quali eravamo abituati, al tonno con le carni scure. Mentre il mercato giapponese esige tonno con le carni rosa, quindi quei lividi e tutto quel sangue nel muscolo nel loro mercato non hanno senso. Si è dovuto cambiare anche il modo di lavorarlo per valorizzarne le carni, perché quel tonno che si vendeva a tremila lire ora si vende nove dieci euro al chilo. La macellazione avviene in mare, ovunque ci siano delle gabbie di allevamento. Quando si decide il tonno passa in una gabbia più piccola dove viene ucciso istantaneamente con un fucile che spara una palla di plastica (e non di piombo perché è tossico e potrebbe rovinare le carni) prima di tutto per bloccare le terminazioni nervose, così la morte è totale e il sangue si raffredda immediatamente e si dissangua senza che provochi processi putrefattivi.
A questo punto viene messo in acqua e ghiaccio per portare quasi immediatamente la temperatura vicino allo zero in modo tale da conservarne tutte le qualità organolettiche. Per farlo arrivare fresco al Tsukiji fish market di Tokyo, dove il prezzo può arrivare a cifre folli, viene spedito via aerea in grandi scatole immerso nel ghiaccio. Altrimenti viene tagliato e congelato e andrà sul mercato meno ricco di quello fresco ma altrettanto importante.
Questo è il mercato del tonno oggi che ci ha fatto perdere le tradizioni. Però visto dalla parte del pescatore che prima pescava una cosa che valeva poco, e che ora vale tanto e a quel valore aggiunto lui stesso ha partecipato. E la cosa che interessa alla nostra Associazione è che poi alla fine il nostro pescatore sia passato dalla povertà a essere un imprenditore.
Tokyo, mercato del pesce, asta di tonni
 Ma – chiediamo sempre a Basciano – il tonno che si pesca riesce a soddisfare il mercato globale del sushi e del sashimi? Ci son due meccanismi che alimentano il mercato e entrambi legati all’illegalità. Il tonno oggi per effetto dei regolamenti internazionali ha un sistema di tracciabilità del prodotto rigorosissimo: ogni tonno pescato legalmente da barche autorizzate ha un suo documento che è unico, non può essere confuso con un tonno fasullo. Ne più ne meno come succede per le carni bovine. Tutti i tonni rossi che si dovessero trovare sul mercato senza un documento sono tonni illegali, cioè pescati abusivamente da soggetti che potrebbero essere o professionisti o falsi dilettanti che lo immettono sul mercato. Oppure si tratta non di tonno rosso, ma banalmente di pinna gialla tagliato a trance conservato in atmosfera modificata e spedito dall’oceano indiano o dall’Atlantico nei nostri mercati per diventare tonno da sushibar. Quindi abbiamo una frode alimentare.
Il povero consumatore come se ne accorge? Chi deve fare i controlli li deve veramente fare. A noi del mondo della pesca questo settore interessa non soltanto perché siamo convinti che la pesca illegale alla fine uccide la pesca stessa, e quindi combattiamo l’illegalità, ma anche perché se da un lato si dice che di tonno se ne è pescato troppo,  è altrettanto vero che per consumarlo devi essere cosciente che c’è né poco e quindi lo devi pagare assai e lo devi gustare come una cosa rara.
Tokyo, mercato del pesce
Invece succede il contrario perché il mio tonno sottoposto a tutele internazionali di tutti i tipi, al controllo di commissioni, di ricerca scientifica, osservatori a bordo, alla fine viene confuso sul mercato con del banalissimo pinna gialla importato è chiaro che ci arrabbiamo, per usare un eufemismo…
È fondamentale che ci siano controlli non soltanto nei confronti dei nostri pescatori, che sono già tartassati di controlli, ma che sian fatti anche al consumo, dove viene spacciato tonno diverso da quello che è realmente.
Che tonno ho comprato al supermercato? Se hai comprato tonno fresco è sicuramente illegale perché la pesca del tonno si è chiusa a giugno. Se è in scatola quasi sicuramente è pinna gialla se invece sull’etichetta è scritto Thunnus thynnus è tonno rosso del Mediterraneo. Ma questo significa anche che sul mercato c’è confusione. Tutto il tonno rosso dell’Atlantico e del Mediterraneo è sottoposto a quote, la pesca non è libera, i singoli paesi non possono pescarne quanto ne vogliono.
Tonni in gabbia

Gabbia al traino: azione di disturbo di GreenPeace
Ciascun paese ha avuto assegnato una sua quota annua pescabile stabilita dalle commissioni internazionali per non metterne a rischio la popolazione. In italia, anno dopo anno siamo arrivati per il 2011 a una quota di 1787,91 tonnellate. Ecco perché è pressoché impossibile trovare in una scatoletta un pezzetto di quelle duemila tonnellate che invece seguono la strada del mercato più ricco. Ci possono essere aziende artigiane  che producono piccoli quantitativi magari per un mercato locale; le grandi marche è impossibile che oggi possano lavorare il tonno rosso da inscatolare.
Quindi l’unica possibilità di trovare tonno rosso sott’olio è di trovare piccoli artigiani o privati che lo fanno in casa?
La cosa importante da capire è che la risorsa è sotto controllo, la pesca è limitatissima, tutto quello che è fuori da queste regole è illegale perché pescato da chi non è autorizzato. Quindi il dilettante che fa una traina e prende un tonno si mette nei guai. La cosa singolare in questo momento dove il mare è pieno di tonno (chiunque va per mare oggi e cala un amo è facile che prenda un tonno) non lo puoi avere pescato, non lo puoi tenere a bordo, e non lo puoi sbarcare se ti beccano il verbale è di duemila euro oltre al sequestro del pesce che viene venduto all’asta. Ti rendi conto che è un gran casino! In realtà il problema è che ci sono queste regole imposte dalla comunità internazionale a protezione del tonno che sono esagerate perché si è creato un allarmismo non giustificato, tant’è che oggi il mare è pieno di tonno, lo si capisce dalla gran quantità di sbarchi illegali ai quali assistiamo. I pescatori che vanno a pesce spada con possono spiegare agli ami quale differenza c’è tra uno spada e un tonno!
Noi riceviamo le lamentale o peggio i verbali dei pescatori che non volendo hanno pescato e issato a bordo un tonno da 80 chili. Ha faticato una giornata pescando solo quel tonno, come fai a convincerlo di ributtarlo in mare?

Gabbie “rancing” a Malta
Questa è la situazione e noi stiamo lavorando per far capire con dati scientifici alle varie commissioni che la situazione non è così grave e che la risorsa tonno è in forte ripresa quindi le misure eccessive di limitazioni e controlli possono essere via via allentate. Infatti per la prossima stagione per la prima volta la quota forse non verrà diminuita infatti resterà costante e sarà la prima volta in questi ultimi 12 anni. Inoltre chiediamo un minimo di tolleranza per i nostri pescatori che in questo momento sono passivi, nel senso che non lo vanno a cercare. Invece chiediamo di essere fortemente presenti nei confronti dei falsi dilettanti o sportivi (il mare è pieno di gente che va a pesca di tonno per poi rivenderlo ai ristoranti). Quindi nessuna tolleranza verso chi attivamente va a pescare il tonno. Infine contrastare la frode alimentare dilagante con la quale viene contrabbandato come tonno rosso, del tonno che invece rosso non è e che per lo più è pinna gialla. Quindi sulle etichette deve essere indicato chiaramente che tipo di pesce c’è nella scatola e la sua tracciabilità. Sotto questo cielo c’è molta confusione e tutti se ne approfittano ed è il consumatore, ultimo anello della filiera, che rimane fregato, paga care cose che magari care non erano, e non ce ne motivo.
I tonni dei nostri ricordi della mattanze favignanesi da 4/500 chili si sono fortemente rarefatti. Se si mettessero in fila le classi di taglia vedrai che la base di questa ipotetica piramide è fata da taglie piccole, man mano che si sale aumentano le taglie  ma diminuiscono i numeri. In testa ci metti le “taglie forti” da 5-600 chili che hanno raggiunto i vent’anni di vita, ma si contano sulla punta delle dita di una mano.
Quando in Italia si pescava il tonno c’erano moltissimi paesi  mediterranei che non lo pescavano. La Libia, la Tunisia pescavano tonni fino a quando eravamo noi a gestirgli le tonnare. Paesi come il Libano e Israele non hanno mai pescato il tonno, perché non fa parte della loro cultura. Oggi invece Israele pesca Tonno, come Cipro, la Grecia e la Turchia. Tutti quei siti dove il tonno si poteva rifugiare scappando dalle centinaia di tonnare fisse siciliane, sarde e spagnole, aveva la possibilità di riprodursi e di tornare indietro insomma completare il suo ciclo biologico. Fino a che lo pescavamo soltanto noi era giusto e bello, ora, confessiamocelo, siamo un po’ egoisti. In un mondo globale tutto va visto su una scala enormemente più grande il che complica di molto le cose e magari fa perdere quelle tradizioni ed abitudini di una volta, così come le tonnare fisse siciliane e i grandi tonni da cinquecento chili.


Maurizio Bizziccari