Fossimo sopravvissuti, avrei avuto una storia da raccontarvi sull’ardimento, la resistenza ed il coraggio dei miei compagni che avrebbe commosso il cuore di ogni britannico questa è la celebre frase scritta nel suo diario da
Robert Falcon Scott morto con i suoi compagni quando tentò di ritornare al campo base dopo avere raggiunto il Polo Sud il 18 gennaio del 1912 e dopo aver provato però l’enorme delusione di vedere la bandiera norvegese piantata diverse settimane prima di lui dal suo “concorrente” il norvegese Roald Amundsen.
Di quella tragica spedizione è ora in libreria un interessante libro a cura di Filippo Tuena dal titolo
Scott in Antartide La spedizione Terra Nova (1911-1913) nelle fotografie di Herbert Pointing, e che vi proponiamo.
Per secoli i resoconti dei viaggi verso l'ignoto intrapresi da esploratori, mercanti, scienziati come Darwin sul Beagle, o cacciatori, come quelli sulle baleniere polari, hanno raccontato storie spaventose e abbozzato schizzi immaginari per riproporre quanto vi era stato visto, spesso non senza una buona dose di licenza poetica.
Le peregrinazioni atlantiche del capitano James Cook del diciottesimo secolo e di James Clark Ross negli anni Trenta di quello successivo furono descritte in riviste e libri pieni di illustrazioni.
Circa settant'anni più tardi, quando la Gran Bretagna per prima mandò il tenente comandante della marina Robert Falcon Scott e la sua nave, la Discovery, verso Sud perché raggiungesse l’Antartide, la macchina fotografica era stata inventata e costituiva una parte vitale di qualunque spedizione. Era il 1901 eppure l'Antartide era ancora un territorio inesplorato. Nessuno sapeva neanche se fosse un continente o solo una massa di ghiaccio galleggiante. Nel 1910 la spedizione Terra Nova di Scott fu inviata perché penetrasse in questa vasta regione, escogitando il metodo migliore per attraversarla e, grazie alla presenza di scienziati di altissimo livello sotto il suo comando, potesse acquisire nuove conoscenze alla causa scientifica. Scelse i migliori scienziati da tutto il Commonwealth e il miglior fotografo e cineoperatore professionale,
Herbert Ponting.
Questo libro conferma che Ponting è stato senza dubbio uno dei più grandi fotografi del Novecento, soprattutto se si tengono in considerazione le condizioni di estremo disagio in cui dovette lavorare in Antartide.
Ponting che aveva percorso la Siberia, visitato il Giappone e documentato la guerra Russo-giapponese accompagnò in Antartide la spedizione Terra Nova di Scott dal dicembre del 1910 sino al marzo del 1911. In quell’anno di lavoro produsse più di duemila fotografie e un’ora di filmati che lo rivelarono come il più importante fotografo d’azione di quello scorcio di secolo. Ponting documentò soltanto il primo anno della missione e dell’ultima e tragica, non è stato testimone. Prima di lasciare la spedizione insegnò a Scott come utilizzare una piccola macchina a soffietto per documentare il loro viaggio. Ma per tutto ciò che riguarda il viaggio in nave dalla Nuova Zelanda all’isola di Ross; la costruzione della capanna di capo Evans; le prime marce per la formazione dei depositi; la vita quotidiana durante il lungo e buio inverno antartico; la fauna e i paesaggi meravigliosi di quei luoghi, Ponting fu l’occhio di Scott. Quanto altri rammentavano e fermavano sulle pagine dei loro diari – e furono in molti a trascrivere le loro impressioni sulla carta – egli lo ha tramandato attraverso le lastre fotografiche e le pellicole che ha impresso in condizioni di estrema difficoltà nell’anno che trascorse in Antartide.
La foto a ds fu utilizzata per fare pubblicità alla LiebigAnnotò con eguale attenzione le piaghe che il freddo disegnava sui volti degli esploratori di ritorno dalle missioni più faticose, o i caratteri indomabili degli husky che trascinavano le slitte. Documentò i tramonti e tempeste, le bizzarre forme degli iceberg e le imprevedibili creste di pressione della barriera ghiacciata. Ma fu altrettanto preciso nel testimoniare la vita quotidiana degli esploratori; le attività più umili come il rammendare i sacchi a pelo o accudire gli animali lo attrassero quanto le scalate delle montagne di ghiaccio; fermò lo sguardo su compiti più elevati, quali l’osservazione delle stelle, l’analisi al microscopio di forme sconosciute di vita; seguì la Terra Nova mentre spaccava il ghiaccio marino per conquistarsi una via verso il Sud o la ritrasse immobile nella baia di fronte all’isola di Ross, come una balena spiaggiata su una costa dalla quale non sa più allontanarsi.
Eseguì ritratti di uomini stroncati dalla fatica e di uomini oziosi che attendevano con ansia di provare a loro stessi il limite delle loro forze. La storia che ne ricavò e che è narrata per immagini in questo libro raramente sfiora la retorica della conquista. Molto più spesso descrive la determinazione di uomini che si trovavano, per loro volontà, al limite dell’abisso, lungo il margine estremo delle terre conosciute e abitabili.
Nella prefazione al libro è riportato un brano del libro
Captain Scott, scritto nel 2002 da Sir Ranulph Fiennes.
“Negli anni Settanta, una biografia denigratoria di Scott e un programma televisivo di nove ore complessive, attaccarono l'esploratore e ogni suo successo. Il suo record postumo fu ignorato, se non infangato, e nel 2002 decisi di mettere le cose in chiaro riaffermando la realtà storica e parlare della desolante realtà delle condizioni che Scott dovette affrontare con i suoi uomini, in assoluto i primi esseri umani a mettere piede nel cuore della regione antartica.
Amundsen fu il primo a raggiungere il polo, trainato dalla forza dei cani; Scott fu il primo ad arrivarvi grazie alla pura forza umana. La stazione scientifica statunitense al polo Sud è chiamata Amundsen-Scott South Pale Station in segno di riconoscimento di due grandi successi, seppure tanto diversi tra loro.
Il più grande esploratore polare francese, il dottor Jean Charcot, scrisse su Le Matin (e qui occorre ricordare che i francesi non sono per natura inclini all’anglofilia): “Scott ha conquistato il polo. Il pubblico, male informato, dirà che ha raggiunto il suo scopo solo per secondo, ma quelli che sanno - non ultimi Amundsen e Shackleton - ammetteranno che fu Scott ad aprire la strada verso il polo e a tracciarne la rotta, illuminando di luce riflessa il proprio paese”. Aggiungeva poi: "Scott non abbandonò il suo programma scientifico [...] e questo è un altro
elemento importante rispetto a Amundsen, che non è uno scienziato, ma solo un uomo deciso a stabilire un record. Se si vuole dichiarare chi sia il migliore tra i due, la scelta deve necessariamente cadere su quello
che incoronò i risultati della sua spedizione con il maggior numero di scoperte e osservazioni scientifiche".
Uno dei membri della squadra polare di Amundsen, Helmet Hanssen, dichiarò: "Non voglio screditare Amundsen, né nessun altro di noi, dicendo che il risultato di Scott fu di molto maggiore rispetto al nostro
[...]. Basti immaginare cosa deve aver significato per Scott e per gli altri trascinare da soli le slitte, con tutte le attrezzature e le provviste fino al polo. Noi siamo partiti con cinquantadue cani e siamo tornati con appena undici, e molti di loro si consumarono durante il viaggio. Cosa dovremmo dire di Scott e dei suoi compagni, che non avevano cani e ne presero il posto? Chiunque con un po’ di esperienza si leverà il cappello
di fronte al risultato ottenuto da Scott. Non credo che mai altri uomini abbiano mostrato una tale resistenza, né che ci siano mai stati altri uomini pari a lui”.
Le copertine di due recenti libri (2009 e 2010) italiani,
I Diari del Polo e
Diari Antartici