Il giorno dopo di quel 23 novembre del 1980, trentanove anni fa, armato della mia inseparabile Leica arrivai tra i primi a Castelnuovo di Conza, piccolo comune poco distante da Sant’Angelo dei Lombardi, in provincia di Avellino. Appena percorsi pochi metri di quello che una volta era il corso, fui attirato da una debole voce che chiedeva aiuto. Era quella di Antonio, il ragazzo della fotografia, rimasto sepolto tra i resti della sua casa. Immediati i soccorsi per tirarlo fuori che ho documentato.
Il giorno prima alle 19.34 per novanta interminabili secondi quel terremoto colpì l’Irpinia con una magnitudo di 6.9, pari a circa il decimo grado della scala Mercalli. Una delle più grandi tragedie del nostro Paese che Alberto Moravia così descrisse: “Ho visto morire il Sud”. Decine di comuni vicini all’epicentro — tra i quali Sant’Angelo dei Lombardi, Lioni, Conza della Campania, Laviamo, Muro Lucano — furono quasi rasi al suolo, altri gravemente danneggiati. A Balvano il crollo della chiesa di S. Maria Assunta causò la morte di 77 persone, di cui 66 bambini e adolescenti che stavano partecipando alla messa della sera. Dei 119 comuni irpini, furono 99 quelli che riportarono danni alle strutture. Il sisma fu avvertito pesantemente anche a Napoli dove la gente si riversò in strada per passare la notte.
Il tempo ha placato le furenti polemiche sull’erogazione dei fondi per la ricostruzione e sulle risorse destinate allo sviluppo industriale, ma resta vivo il ricordo dell’impegno dei sindaci nella ricostruzione e quello dei volontari di tutta Italia in uno scenario post bellico. Come resta la scossa data dall’arrivo suoi luoghi della tragedia dell’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini e una prima pagina del quotidiano Il Mattino entrata nella memoria collettiva con l’appello «Fate presto.
foto di Maurizio Bizziccari