Mare Nostrum “inquinatum”…

Scritto da Il Mare
01 marzo 2017

Particelle raccolte in mare: Il pranzo è servito…
Il nostro magazine cresce…, oggi una giovane cronista, Elena Bittante appassionata di mare e di natura, ci ha proposto l’aggiornamento, con i dati di una recente ricerca dell’Istituto per l’Ambiente Marino Costiero del Consiglio Nazionale delle Ricerche, di un tema che abbiamo già trattato nel maggio 2014. Lo ricordate? Nel libro Come è profondo il mareNicolò Carnimeo ci parlò dei 290 miliardi di coriandoli di plastica presenti nel Mare Nostrum!

Le sfumature di smeraldo e zaffiro del Mediterraneo sono come un’incantevole sirena che canta al ritmo delle sue onde e trae facilmente in inganno l’osservatore. Siamo preda di un incantesimo: siamo ammaliati dalla sua
bellezza inconsapevoli del veleno che affiora in superficie e rischia di contaminare l’intera catena alimentare. Una visione drastica che mira a sensibilizzare e divulgare informazione, perché nessuno
di noi desidera trasformare il Mare Nostrum dalla culla alla tomba della nostra civiltà.
A destra nella foto CNR Un momento del campionamento in mare aperto, con le maglie pronte a raccogliere le particelle di plastica.
Il Mediterraneo è un mare inquinato, in particolare l’area nord occidentale tra la Toscana e la Corsica. Nonostante tutte le sfumature del blu, le sue acque contengono un’elevatissima concentrazione di microplastiche: il 92% sono frammenti di meno di 5 millimetri, quasi impossibili da percepire a occhio nudo. Una rivelazione scomoda nell’immaginario comune dove spaziano spiagge candide e acque cristalline, un dipinto ideale che si sgretola in un’amara constatazione. 
A rivelare lo stato del Mediterraneo, comprese le coste della nostra penisola, è uno studio condotto da un gruppo di ricercatori del Cnr. L’indagine è stata pubblicata dal team di biologi su Scientific Reports e rivela dei dati allarmanti per quanto riguarda i mari italiani classificandoli tra i più inquinati al mondo. Il record è stato raggiunto dalle acque del Tirreno settentrionale dove si è calcolata una quantità di 10 chili per chilometro quadrato. Valori impensabili che superano la concentrazione delle microplastiche della tristemente nota “isola di plastica” che galleggia indisturbata nel Pacifico del nord.  Secondo l’analisi del gruppo di scienziati le cause sono attribuibili principalmente ai rifiuti della nostra vita quotidiana, per la maggior parte costituiti da packaging non riciclabile. Come spiega uno dei coordinatori dell’equipe, Stefano Aliani: 
“Si tratta di sacchetti e bottiglie che vengono degradati dalla luce. Nel giro di anni o perfino secoli, a seconda del tipo di plastica e dell’ambiente in cui finiscono, questi rifiuti si riducono in poltiglia”. Nella foto CNR a destra:
In questa immagine si nota come le microplastiche siano presenti in maniera corposa, di varie dimensioni e polimeri.
Lo studio è stato possibile grazie all’Urania, una nave da ricerca con al traino una rete speciale per la raccolta di campioni, prelevati in 74 punti dell’Adriatico e del Tirreno. In quest’ultimo è stata calcolata una media di 811 grammi di microplastiche per chilometro quadrato. Un dato che crea incredulità e allarmismo. Come può un mare così piccolo racchiudere una concentrazione di microplastiche maggiore a quella dell’immenso oceano? La risposta dei ricercatori è esaustiva e facilmente comprensibile: “La gravità della situazione del Mediterraneo non ci stupisce – dice Aliani –  è un mare sostanzialmente chiuso, in cui una particella ha un tempo di permanenza di circa mille anni. Teoricamente, cioè, impiega tutto quel tempo per attraversare la stretta imboccatura di Gibilterra”. 
Ricercatori intenti a suddividere i vari campioni raccolti.
Il riciclo idrico del Mediterraneo è molto lento e non facilita l’espulsione delle microplastiche. Oltre ad essere un bacino morfologicamente chiuso, riceve nelle sue acque le immissioni dei fiumi più importanti d’Europa: il Danubio, il Po, il Don e il Rodano. Questi flussi attraversano territori fortemente antropizzati e rilasciano nelle sue acque il costo più amaro del benessere dei nostri tempi. Non solo rifiuti quotidiani, alla causa principale della presenza di microplastiche si aggiungono altri veleni come pesticidi e i metalli pesanti di un’economia impenitente. La ricerca scientifica sta smascherando la doppia faccia di una qualità della vita apparentemente alta.
L’inquinamento delle acque del Mediterraneo è subdolo e difficilmente percepibile e spesso uccide gli animali marini. A farne le spese più di tutti sono le tartarughe marine. Il Cnr di Oristano  gestisce una specie di ospedale che in pochi anni ha salvato 500 esemplari di caretta caretta che avevano ingerito frammenti di plastica.
I nostri occhi e la nostra abitudine faticano ancora a vedere e a concepire il rischio che ciò comporta per l’intera catena alimentare. L’informazione cerca di veicolare la consapevolezza cercando di modificare le scelte per un futuro migliore, anche quelle dei piccoli gesti quotidiani.
Elena Bittante