Matvejevic: nessuno ha narrato il Mediterraneo come lui

Scritto da Il Mare
05 febbraio 2017
Il mio amico e maestro Predrag Matvejevic, con il suo Breviario Mediterraneo, è stato il più grande cantore del mare padre della civiltà occidentale. Le civiltà (a parte quella megalitica di Stonehenge) viaggiano da Est a Ovest, con il sole; tutto quello che la mente e l'animo umano hanno prodotto è venuto, quindi, a depositarsi sulle rive del Mediterraneo. E la nostra stessa specie si è evoluta da Sud (Africa), verso Nord (Europa), quindi ancora portando saperi in questo mare e sulle sue coste. In più, le condizioni di sviluppo della vita sul pianeta sono, alla nostra latitudine, le migliori, e qui sono
giunti i più audaci da Nord. Noi che abbiamo la fortuna di esserci nati qui, ci gloriamo di quel che vi è stato concepito e trasmesso. Una maggiore onestà dovrebbe portarci a dire che più che inventare, abbiamo rielaborato o aggiunto quel che da tanti ci è stato dato.
Il risultato, comunque, è la dominante influenza di questo mare e della sua storia, nel percorso del genere umano. C'è talmente tanto da ricordare, sentire, recuperare, che soltanto degli animi e delle menti di valore quasi sovrumano possono coglierne l'ampiezza e la profondità.
Predrag era uno così, per questo era umile, quasi inconsapevole e sorpreso dell'attenzione altrui a quel che faceva. Una volta ci trovammo concorrenti a un premio di letteratura del mare. Andai a chiedergli scusa: lo avevo scoperto tardi. E quando il mio libro fu premiato più del suo, io volevo sprofondare, lui rideva senza freni della mia mortificazione.
Fernard Braudel ha strattonato l’Europa con i suoi studi sul Mediterraneo. Solo un gigante come lui poteva risvegliare il continente e i Paesi degli altri due che sul nostro mare si affacciano, sul valore della storia comune e dei saperi scambiati lungo queste coste. Eppure, Predrag fece di più: lo “sentì” il Mediterraneo. Elaborò la teoria della geopoetica, ovvero l’idea che non gli uomini, ma i luoghi emanino poesia (per questo il nostro mare che produce tanta) e che i poeti siano solo delle antenne più sensibili in grado di coglierla e “tradurla” agli altri.
Predrag era figlio di un russo bianco scampato nella ex Jugoslavia, dove si sposò. Nella sua famiglia aveva, fra genitori, moglie, cognati, tutti i tipi di religione e di sfumature etniche (cattolici, ortodossi, musulmani, croati, serbi, bosniaci...). Lui era nato in Croazia e viveva a Monstar. La sua libertà intellettuale e il suo coraggio lo indussero prima ad affrontare i potenti dell’ex impero dell'Est, con una serie di lettere-reportage che ognuno dovrebbe leggere, e raccolte in “Tra asilo ed esilio”; poi, durante la guerra balcanica, fu costretto a fuggire, per la sua opposizione al conflitto e alle finte ragioni della mattanza, e dopo che spararono contro la sua casa.
Il bombardamento del ponte di Mostar, simbolo della connessione fra Oriente e Occidente, fra islam e cristianesimo, lo ferì profondamente. La nostra conversazione su quel crimine è ancora oggi uno degli articoli più sentiti della mia vita giornalistica. Da quella e altre esperienze in un mondo che franava, nacque un nuovo, grandissimo libro di Predrag, Mondo ex e tempo del dopo.
Da leggere in ginocchio.
Romano Prodi, a capo del “governo” europeo, istituì una Commissione per il Mediterraneo e ne mise Predrag a capo. Fecero un lavoro stupendo, che il successore di Prodi buttò, sopprimendo la Commissione. Fuggiasco dalla Croazia, Predrag era stato accolto come docente alla Sorbona di Parigi; da cui si trasferì alla Sapienza di Roma e, in quel periodo, una delle poche cose buone fatte dal nostro Paese, gli venne conferita la cittadinanza italiana.
Qualche tempo dopo, lo vidi malmesso. Alla fine, gli feci sputare il rospo: problemi economici; dopo circa 45 anni di lavoro in tre Paesi europei, per un “ricongiungimento” negato, non aveva pensione né in Croazia, né in Francia, né in Italia. «E i soldi delle conferenze?», gli chiesi, sapendo che gliele pagavano parecchie migliaia di euro. «Tutti in un conto che ho affidato a un amico poeta croato, perché li distribuisca agli intellettuali poveri».
Gli feci osservare che, di quel passo, prima o poi avrebbe dovuto rivolgersi lui stesso a quel fondo. Non gli dissi niente, ma informai un diplomatico mio amico, uno dei più stretti collaboratori di Prodi, allora capo del governo. Non gli chiesi, poi, se e cosa avesse fatto. E probabilmente non ce ne fu nemmeno bisogno, perché, per fortuna, qualche mese dopo, Predrag ottenne la pensione.  Gli ultimi tempi sono stati tristissimi per quest'uomo grande, grandissimo e così poco attento a se stesso. Nicolò Carnimeo, docente universitario, uomo e scrittore di mare, che lui chiamava “il mio fratellino”, apprese che Predrag era stato ricoverato in una struttura dove poteva soltanto declinare velocemente.
Costituimmo un informale comitato di amici ed estimatori; cercammo di indurre i familiari più stretti a rivedere la loro scelta; provammo a coinvolgere autorità balcaniche e italiane; un paio di noi (non io) riuscirono a farsi ricevere in quella struttura e incontrare Predrag, trovandolo messo male. Lanciammo la sua candidatura al Nobel per la letteratura. Ci eravamo offerti di ospitarlo a spese nostre, quotandoci, in una struttura più adeguata, magari in Italia. Ultimamente, grazie all'instancabile, amorevole impegno di Carnimeo, alcuni sui familiari avevano deciso di ri-analizzare la cosa, fra parenti. Una notizia di soli pochi giorni fa, che ci aveva dato tanta speranza. Cui Predrag ha messo fine, preferendo altro e altrove. “C’è qui un cieco dalla fronte/ grande e bianca come una nuvola./ E tutti noi suonatori, dal più grande al più umile,/ scrittori di musica e narratori di storie,/ ci sediamo ai suoi piedi,/ per sentirlo cantare la caduta di Troia”, racconta Jack il cieco, in Spoon River, di Edgard Lee Masters. Ecco, ora c'è un altro, lì, che ha molto da dire sul nostro mare.
Riposa in pace, amico mio. Nessun grazie sarà grande abbastanza da compensare i tuoi meriti, i tuoi doni. Ti voglio bene.
Pino Aprile
Giornalista e scrittore