Nitto, subacqueoo delle tonnare, un personaggio leggendario

Scritto da Il Mare
13 febbraio 2018
“Lo hai saputo? E’ morto Nitto.” Qualche giorno fa, con queste scarne parole, Maria Guccione, telefonando da Favignana, mi ha annunciato la morte di Benedetto Mineo, a tutti noto solo con il diminutivo di Nitto. Immediatamente come una sequenza cinematografica mi vengono alla mente i tanti ricordi che mi legano a Favignana e alle isole Egadi e Nitto è tra i più belli personaggi che ho conosciuto negli anni 70, in queste isole meravigliose. La prima volta andai a Favignana in vacanza a settembre del 1975. Feci una immersone nelle acque limpidissime e pulite del piccolo porto e pescai con le mani una grossa seppia. Rimasi affascinata dalle isole e tornai l’anno dopo su invito di Josè Tammaro, che venendo a Roma a trovarmi alla Libreria Internazionale Il Mare, mi disse che Favignana andava visitata nel momento della Mattanza. Così tornai sull’isola. Chiesi a Luigi Parodi il
permesso di immergermi nella camera della morte: sogno di tutti i subacquei.
Nitto a Levanzo nel 2011
Parodi mi diede il permesso e mi affidò al Rais Gioacchino Ernandes e a Nitto, il subacqueo delle Tonnare di Favignana e Formica. Nitto mi raccontò: “Ho iniziato a lavorare sott’acqua nel 1963, a Favignana e Formica. Prima di me nessuno aveva fatto il sub nelle tonnare. Mi sono proposto ai proprietari Parodi e ai rais Figliomeni di Formica e Mercurio di Favignana. Sono un pescatore e quando andavo ad assistere alla mattanza mi accorgevo che molte cose funzionavano male. I tonnaroti dalla barca, con lo specchio, potevano fare ben poco rispetto al subacqueo, i tonni fuggivano perché si aprivano squarci nelle reti che allora erano in fibre naturali di sisal, oppure restavano ammagliati e si perdevano perché nessuno li recuperava.” L’ idea di Nitto piacque ai proprietari e così nacque la professione di subacqueo della tonnara. Aveva il compito di controllare le reti, recuperare i pesci ammagliati, cucire gli strappi, cercare le ancore perdute, contare i tonni che entravano nelle reti e anche spingerli ad entrare.
Un lavoro redditizio, ma anche pericoloso perché insieme ai tonni entravano nelle reti anche gli squali bianchi e i pescispada. Molte volte Nitto si è trovato di fronte gli squali e li ha recuperati. Le code di questi selacei lunghi anche oltre i sei metri si trovano ancora appese nei locali della Camperia. Anche molto pericoloso era l’incontro con qualche pesce spada Xiphias gladius che potevano attaccare l’uomo con il loro rostro a forma di lama tagliente e acuminata. Infatti ricordo di aver letto, in quegli anni, un articolo sulla rivista Mondo Sommerso che raccontava di come un subacqueo era stato infilzato da un pesce spada e che si era salvato per miracolo dopo una lunga operazione. Arrivò finalmente il giorno della mattanza e Nitto il giorno prima mi disse di preparami per l’immersione nella camera della
morte. Il giorno dopo alle sei del mattino salii con Nitto su un Vascello. Arrivati sul posto, non potrò mai dimenticare, nella nebbia, in mezzo al mare calmo, la voce unica, roca ma profonda e acuta dello cialomatore Paciorro che per dare il ritmo ai pescatori, cantava  “Aja Mola, Aja Mola”. Arrivò il momento dell’immersione. Mi immersi con le bombole e con la mia Nikonos insieme a Nitto, proprio nella camera della morte: enormi tonni che pesavano anche più di 500 chili  nuotavano sul fondo della rete. Fotografavo con la Nikonos e con il flash a lampadine, incantata dallo spettacolo,
quando Nitto mi indicò un pesce diverso dai tonni: era un pesce spada. Feci appena in tempo a
Favignana 1985, la mattanza
fotografarlo, che Nitto, preoccupato, mi fece velocemente risalire sul Vascello. Assistetti alla mattanza fuori dall’acqua e mi sentii Tonno. Mi prese un’angoscia indescrivibile: mi mancava l’aria come ai tonni che nel frattempo morivano soffocati e venivano raccolti dai tonnaroti, attenti ai loro colpi di coda. Il mare si tinse di rosso e finita la mattanza i tonnaroti si gettarono in acqua. Restano le foto, ma le sensazioni che provai sono scolpite nella memoria. La sera parlai con Nitto del pesce spada e lui mi confermò che temeva per la mia incolumità. Il subacqueo della tonnara svolgeva il suo lavoro senza essere visto da nessuno e quindi Nitto non era famosissimo ai più come Clemente Ventrone e Gioacchino Cataldo che venivano fotografati da tutti i turisti mentre pescavano gli enormi tonni, ma
Favignana, pinne esposte nella Camperia
era notissimo tra i subacquei che insieme a me non lo dimenticheranno mai perché era una persona eccezionale e leggendaria. Era un Marettimaro nato sull’isola più distante delle Egadi 84 anni fa, ma aveva vissuto molti anni a Levanzo, dove aveva aperto la pensione I Fenici nel posto più panoramico della più piccola delle Egadi. Il cimitero di Levanzo è anche la sua ultima dimora. Rimpiango di non averlo incontrato a Trapani, quando, qualche anno fa, con Maria Guccione lo cercammo, senza trovarlo, nella sua casa di città.
Ora i tonni a Favignana non si pescano quasi più, ma per fortuna è rimasto, restaurato, il monumento più bello dell’isola: lo stabilimento Florio con il suo museo e con il bellissimo lavoro di Renato
Favignana 1987, Nitto e il pinna bianca finito nella tonnara
Alongi nella sala Torino, dove rivivono coloro che lavorarono nelle tonnare di Formica e Favignana raccontando le loro storie di vita vissuta. Vi sono anche in bella mostra i rostri appartenenti alla flotta romana e punica che in queste acque si scontrarono nel 241 a.C., recentemente ritrovati da Sebastiano Tusa, Soprintendente del Mare della Regione Sicilia. Nitto sarà contento: aveva confidato negli anni sessanta a Cecè Paladino di aver individuato numerosi ceppi di ancore in piombo su un fondale di 25 metri a Est dell’isola di Levanzo nella zona di Capo Grosso. Successivamente Cecè ne parlò negli incontri di Archeologia Subacquea organizzati durante la settimana delle Egadi con la partecipazione del giovane Sebastiano Tusa.
Grazie Nitto non sarai mai dimenticato.
Giulia D’Angelo