Pensieri sul terremoto, sulle tendopoli e su una casa rotta

Scritto da Il Mare
05 novembre 2016
È entrata nella nostra vita da poco più di un anno. Da quando è diventata la compagna di Riccardo, mio figlio. È abruzzese, nata a L’Aquila quarantadue anni fa, il suo nome Donatella Franciosi. La laurea in Tecnica Pubblicitaria e il master in Project Management. Si è divisa tra Perugia, Milano, Londra e Catania prima di mettere radici a Roma dove per 15 anni ha lavorato in teatro, che ora le manca, molto. Ora si occupa di management di attori, prevalentemente cinema e tv. Ha vissuto indirettamente la terribile esperienza del terremoto del 2009. Il quel momento era a Roma ma i suoi genitori quella notte del 6 aprile erano tra i quasi cinquantamila sfollati ricoverati in una delle 5029 tende allestite dalla protezione civile.
Nell’ascoltare i racconti di Donatella mi è venuto spontaneo chiederle di scrivere per Maremagazine i suoi Pensieri sul terremoto, sulle tendopoli e su una casa rotta. Eccoli…



Catania, aprile 2012
Compro da Decathlon una tenda Queshua a 3 posti e mi sistemo con il mio fidanzato di quegli anni in un’area attrezzata situata su una scogliera lavica, sulla costa dei Ciclopi, al Camping Jonio.
Un po’ artisti di strada e un po’ anche no, io e il mio fidanzato facciamo spettacoli e laboratori nei teatri e nelle case, nelle librerie e nelle birrerie, nelle stalle e nei giardini, nei circoli di cultura e nelle contrade, ma anche nei parchi e nelle scuole… raccontiamo di Colapesce, delle ultime Muciare, dell’Odissea Siciliana, della Partita Siciliana e della Camurria, dell’incontro di Don Chisciotte con Peppino Impastato, del Santissimo Crocifisso, dell’invasione dei Piemontesi e dei Garibaldini, e poi, poi di Santuzza: la mia amatissima Sant’Agata.
Nelle piazzole delle tende ci siamo solo noi. E anche il campeggio è quasi deserto, a volte incrocio qualche turista straniero e a volte qualche parente dei ricoverati del vicino Ospedale Cannizzaro per i quali la direzione del campeggio ha riservato delle offerte speciali. Scopro quasi subito che il campeggio è fornito di una lavatrice a gettoni che insieme ad un tavolinetto e a due sedie lasciate lì da qualcuno, completa la dotazione essenziale della nostra nuova casa.
Io in quella tenda sono stata felice.

3 anni prima, 7 aprile 2009 a L’Aquila
Io e mia sorella arriviamo a Fossa nel pomeriggio. Tutti gli abitanti del paese sono lungo la strada nei pressi del campo sportivo dove si allena e gioca l’orgoglio dei Fossolani: l’A. S. D Valle Aterno Fossa. C’è molto fermento nell’aria: l’esercito, la protezione civile, gli Alpini e qualche scout stanno cominciando a montare proprio lì la tendopoli per i terremotati. Dovrà essere pronta in serata: non si può passare un'altra notte in macchina.  Nel frattempo arrivano i camion con i sacchi a pelo, le coperte e altro vestiario. Vedo che negli spogliatoi hanno già allestito l’infermeria, ed è proprio lì vicino che finalmente vedo mio padre che mi viene incontro, sorridendo. Lo guardo e capisco subito che ha addosso abiti di fortuna: i pantaloni sono corti sul polpaccio e anche le maniche del trench lo sono sulle braccia. Evidentemente la media dei donatori di abiti usati è al di sotto del metro e 85. Quella immagine è indelebile nella mia mente.
Papà è taciturno, ma non voglio dare importanza a questa cosa e gli chiedo, preoccupata, se sa come verranno assegnate le tende. Mi sorprende come io sia, anche in una situazione del genere, già sul piede di guerra, ma ho paura che nell’attribuzione dei posti nella tendopoli i miei genitori che sono caratterialmente accomodanti finiranno per essere svantaggiati, ho paura che si possa approfittare della loro bontà.
Rimprovero spesso ai miei genitori che la mia incapacità a difendere i miei diritti derivi anche dalla loro bontà: da loro ho imparato ad incassare e soprassedere, piuttosto.
Così accanto alla preoccupazione io provo anche vergogna. Alla mia domanda papà mi risponde che sarà per lui e mamma una sistemazione provvisoria perché i danni alla nostra casa sono lievi. Io non ho ancora visto casa nostra e non so le sue condizioni, ma quando il sindaco chiama a raccolta gli sfollati e invita tutti a non cambiare le tende che verranno loro assegnate perché la matricola che ognuna di loro ha stampata sopra sarà il loro nuovo indirizzo postale, capisco che nulla sarà provvisorio tranne quel sentimento di provvisorietà che ci forse accompagnerà per sempre.

7 anni dopo, 24 agosto 2016
Guardo le immagini alla tv del terremoto ad Amatrice. Rimango ferma immobile davanti alla tv per tutto il tempo. Penso a casa mia che da 7 anni sta lì rotta e incatenata. Guardo, l’impalcatura che ti tiene in piedi ti fa somigliare ad una nave. Nave fantasma. Io il tuo capitano? Nave Argo. E io Era. Sento forte l’odore umido delle crepe, altro che madelaine... (uno di quei dolci ricordati da Proust ne
Clemente Franciosi, baritono
La ricerca del tempo perduto NdR) Il sindaco di Amatrice comincia a parlare di tendopoli. Penso ai miei genitori che hanno vissuto 7 mesi in quella di Fossa condividendo la tenda con altre 6 persone tra cui Giuseppina che nel 2009 aveva 97 anni e che aveva bisogno della luce sempre accesa, anche di notte... Penso a quando il secondo appuntamento di Teatro da Campo, la rassegna teatrale che avevo organizzato in tendopoli, è stato annullato perché c’era stata una lite tra gli abitanti per via di un flacone di detersivo sparito dalla zona lavanderia, e di quando il quarto spettacolo ha rischiato di saltare perché s’era sparsa la voce che i visitatori delle tendopoli introducessero droghe… Dice che ci sono foto di persone che lavoravano nelle cucine delle tendopoli mentre caricano generi alimentari nel portabagagli delle loro macchine. Penso a mia mamma che compilava liste di medicine che servivano agli abitanti della tenda e che io introducevo clandestinamente… ho portato anche delle scope, delle palette, stendini e mollette…e pure delle mutande. I miei vivono ancora in un Modulo Abitativo Provvisorio... mio padre si chiede se riuscirà a rientrare a casa prima di morire e intanto non si da per vinto e coltiva la sua grande passione per il canto. Non riesco a fermare ricordi e pensieri. Io chiudo gli occhi e guardo il tramonto sul mare.

La mia casa aveva grandi balconi e in ognuno di essi vi erano grandi vasi di gerani.
Tu dove eri alle 3,32?
Casa mia con il terremoto del 2009 si è avvitata su se stessa e si è spostata di qualche grado. Succede che i balconi non guardano più la stessa campagna.  È come se l’inquadratura si fosse sposata un po’ più giù e un po’ più in là. È un cambiamento impercettibile agli occhi, ma l’anima lo sa che l’orizzonte è cambiato.
Tu dove eri alle 3,32?
Vorrei ricordare quante mandate ha la serratura della porta d’ingresso. Per abitarla ancora.
Una chiave d’oro e una d’argento e, alle mie spalle, la paura di un arco buio.
Donatella Franciosi