“Possa quest’arma distruggere la nave del nemico”. Sette rostri protagonisti della battaglia navale che ha cambiato il corso della nostra storia

Scritto da Il Mare
15 dicembre 2011
Il rostro issato a bordo
Quella notte il mare era tranquillo e la luna splendeva alta nel cielo illuminando quasi a giorno il motopesca di 18 metri Nuova Madonna della Grazia del compartimento di Trapani. A bordo Mario Maltese, il comandante di 47 anni con i suoi due fratelli e un cugino. Esattamente l’11 novembre alla solita battuta di pesca a strascico e in quel momento, la mezzanotte era passata da poco, erano posizionati a 38°03,71’ N e a 12°14’38 E circa due miglia dall’isola di Levanzo che insieme a Favignana e Marettimo forma l’Arcipelago delle Egadi. Mario stava salpando la rete dell’ultima calata a circa 72 metri di fondale, senza sapere che di lì a poco avrebbe issato a bordo qualcosa di straordinario, il rostro di una nave, sapremo soltanto dopo il restauro se romana o cartaginese, colata a picco la mattina del 10 marzo 241 a.C. durante la Battaglia delle Egadi.
Mario Maltese e Bernardo Aruta
La più grande battaglia navale di tutti i tempi  – erano impegnati duecentomila uomini e milleduecento navi – dove si affrontarono la flotta romana al comando di Lutazio Catulo e quella cartaginese comandata da Annone che pose fine alla Prima Guerra Punica e culminò con la disfatta dei cartaginesi. Da quel momento Roma diventò la potenza militare che dominò il mondo, ma soprattutto noi ora non parliamo l’arabo!
“Abbiamo visto questo strano oggetto, racconta Mario ancora emozionato, non riuscivamo a capire di cosa si trattasse, era pesante a occhio un centinaio di chili, per nostra fortuna era rimasto incastrato nella catena, una mazzetta da tre metri e mezzo a maglie grosse prima della bocca della rete. Se ci finiva dentro l’avremmo persa! Con molta cautela siamo riusciti a issarlo a bordo, il rischio era che cadesse di nuovo in mare. Ci siamo chiesti cosa cavolo fosse.
Pensavamo a un relitto di aereo della seconda guerra mondiale, anche perché era capitato altre volte di tirare a bordo oggetti metallici, più o meno grandi. Si vedeva però che era una cosa molto strana, su un lato abbiamo notato anche un viso tutto incrostato.
I fratelli Maltese
Riflettendo però sul fatto, continua il comandante, che eravamo in quello specchio di mare dove da tempo una nave oceanografica stava facendo ricerche sulla battaglia delle Egadi, abbiamo capito che si trattava di un oggetto legato a quella storia. Appena sbarcati non c’è voluto molto a verificare che si trattava di un rostro, è alto 74 centimetri, lungo 70 e largo 38! Abbiamo così subito comunicato la scoperta alla Guardia Costiera che la mattina stessa lo ha preso in consegna il comandante Bernardo Aruta, verbalizzando l’accaduto, le coordinate, le distanze e la profondità, inviando anche la notizia del rinvenimento alla Soprintendenza del Mare a Palermo.”
Il Satiro Danzante
Da questo momento, per l’equipaggio del Nuova Madonna della Grazia parte l’iter burocratico per vedere riconosciuto il premio di rinvenimento stabilito dal D.L. 22 gennaio 2004, che consiste in un quarto del valore del bene decurtato delle spese di restauro. Il problema sarà stimarlo questo valore e i precedenti non lasciano ben sperare. Fra tutti si ricorda la vicenda del Satiro Danzante “pescato” a quasi cinquecento metri di profondità il 4 marzo 1998 nel Canale di Sicilia da “Capitan Ciccio” Francesco Adragna.
Più di sette anni di corsi e ricorsi compresa la clamorosa protesta quando equipaggio e armatori si incatenarono all’interno del museo che ospita la statua attribuita a Prassitele ed altri reperti “pescati” nel Canale di Sicilia, come la “zampa di elefante”, anch'essa in bronzo, sempre recuperata dalle reti del “Capitan Ciccio” successivamente al rinvenimento del Satiro. Alla fine, in cinque, si divisero un milione e duecentocinquantamila euro su una stima di cinque milioni.

Modello di triremi con rostro
I rostri, chiamati anche ariete, ram in inglese, sono i veri protagonisti di quella battaglia, l’arma letale applicata principalmente alle triremi (navi da guerra tra le più diffuse nell’antichità dall’epoca greca arcaica) utilizzata per speronare la nave nemica, penetrava nella fiancata facendola a pezzi provocandone il più delle volte l’affondamento.
Isole Egadi
 Comunque la nave immobilizzata veniva subito abbordata dai soldati imbarcati (quelli della famosa Prima Legio Auditrix) che riproponevano lo stesso modello di scontro che le legioni romane praticavano a terra.
Il rostro era realizzato con una fusione (la tecnica usata era quella della cera persa) di una lega di bronzo – più dell’ottanta per cento – di stagno e di piombo. Il rostro inoltre costituiva uno dei simboli più rappresentativi della flotta imperiale, utilizzato come elemento decorativo e compariva persino sulla corona navale, il massimo riconoscimento che veniva attribuito agli ammiragli vittoriosi. Una colonna rostrata è stata eretta a Roma durante il trionfo del generale Caio Duilio, primo trionfatore romano in una battaglia navale (nella battaglia di Milazzo contro i Cartaginesi nel 260 a.C.), ed era costruita con i rostri delle navi nemiche.
Della necessità di una ricerca dei luoghi della Battaglia delle Egadi se ne inizia a parlare a Favignana nel 1984 nel corso del I Convegno Internazionale di Archeologia Subacquea del Mediterraneo organizzato dall’Ente Provinciale del Turismo diretto da Nino Allegra e ideato e curato da Giulia D’Angelo. Gli atti furono pubblicati come supplemento speciale al numero 56 della rivista Sicilia Archeologica. Il convegno fu poi ripetuto nel 1985 sempre a Favignana e gli atti pubblicati nel libro “Dalla Battaglia delle Egadi per un’archeologia del Mediterraneo” edito dalla libreria Il Mare di Roma.
Intrigante fu un intervento, quello del famoso subacqueo Vincenzo ‘Cecè’ Paladino scomparso di recente. che raccontò di avere trovato a nord di Levanzo circa 150 di ancore in piombo tutte allineate sotto una costa inaccessibile. Pecccato che tutte quelle ancore furono fuse per farne dei pesi per le reti! Comunque la notizia confermava indirettamente quanto scritto dallo storico greco Polibio: i romani avevano teso un agguato nascosti proprio dietro la punta di Capogrosso e evidentemente mollarono le ancore per accellerare al massimo le manovre di partenza delle navi.
Una ricerca auspicata in quel tratto di mare che dopo vent’anni anni ha dato ragione agli studiosi che parteciparono ai due convegni.

Così questo del 17 novembre è il settimo rostro che chiameremo “Maltese” per distinguerlo da quelli recuperati fino ad oggi nel mare a nord della Sicilia.

Il Rostro sequestrato dopo il restauro
Il primo è il frutto di un sequestro eseguito dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale il 15 giugno del 2004 a Trapani nell’abitazione di un dentista. Operazione che ha coronato tanti anni di ricerche nel campo della tutela archeologica subacquea, condotte dall'assessorato per i BB.CC. della Regione siciliana.
Il secondo è stato individuato causalmente nel settembre 2008 da una signora mentre si faceva il bagno vicino a Messima ad Acqualadroni.
Si recupera il rostro di Acqualadroni
Il rostro si trovava a bassissima profondità e se ne intravedeva solo la parte superiore. È integro e di fattura eccellente e decorato lateralmente sui due lati da due gladi, molto probabilmente si tratta di uno dei relitti della flotta di Sesto Pompeo sconfitta da Agrippa nel 36 a. C., confermando le fonti storiche e i ritrovamenti effettuati in passato nelle vicinanze.
Levanzo, 6 settembre 2010, il terzo rostro
Gli altri quattro, frutto di ricerche sistematiche, sono nel carniere dell’archeologo “segugio” Sebastiano Tusa (figlio d’arte, partecipò giovanissimo ai due convegni del 1984/85, di lui abbiamo parlato il 28 febbraio presentando il suo libro Archeologia e storia nei mari di Sicilia, direttore della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Trapani da anni impegnato come coordinatore scientifico nella campagna in cerca di testimonianze storiche ed archeologiche riconducibili alla battaglia delle Egadi.
Sebastiano Tusa
Campagne che si sono svolte, a partire dal 2005, nel quadro di una convenzione di collaborazione scientifica tra il Servizio Soprintendenza per i Beni culturali e ambientali del Mare della Regione Sicilia e la fondazione americana RPM Nautical Foundation che ha messo a disposizione la nave oceanografica Hercules “armata” con le più moderne strumentazioni per le ricerche subacquee: sonar a scansione laterale, ROV (Remote Operated Veicle), e un sofisticatissimo robot di ultima generazione. La RPM Nautical Foundation è una fondazione privata senza fini di lucro, nata con lo scopo di sviluppare la ricerca archeologica subacquea. Ha base fissa, per le operazioni nel mediterraneo, a Malta dove è la base delle navi da ricerca Juno e Hercules.
Le campagne di ricerca sono contrassegnate da recuperi straordinari, e ancora tanti bersagli attendono di essere ispezionati, porzioni lignee degli scafi, armi, suppellettili e attrezzi di bordo, anfore e altri rostri…
Il robot recupera il terzo rostro
24 agosto 2011
Il 26 giugno 2008 a 4 miglia a nord-ovest di Levanzo l’Hercules ha intercettato a 80 metri di profondità il primo rostro (chiamato Caterine D) adagiato sul fondale sabbioso che è stato recuperato con una ingegnosa operazione di imbragaggio esclusivamente ad opera del robot (vedi lo straordinario filmato postato su youtube) Il rostro presentava i segni inequivocabili dello scontro con le navi nemiche.
L’equipe di ricerca della Hercules
È del 18 agosto 2010 il ritrovamento del secondo che ha dato la conferma definitiva della storicità dell’evento. Sono stati anche recuperati alcuni chiodi in bronzo sicuramente utilizzati per fissare il rostro alla prua della triremi.
Il 6 settembre 2010 è stato recuperato il terzo chiamato “Vincenzo T” in ricordo di Vincenzo Tusa, il padre di Sebastiano, archeologo che ha diretto per molti anni la Soprintendenza di Palermo. Questo è un rostro sicuramente di matrice cartaginese perché reca l’iscrizione a caratteri punici di invocazione propiziatoria alla battaglia “possa quest’arma distruggere la nave del nemico”.
Infine, 24 agosto 2011, il quarto invece sicuramente romano per l’iscrizione in rilievo questa volta in latino.

Un altro rostro, conosciuto come Belgammel, il nome del luogo dove è stato è stato recuperato, al largo della costa libica, nei pressi di Tobruk. È lungo 64 centimetri e pesa poco meno di venti chili, tipico di piccole navi da guerra. Ora è esposto nel Museo di Tripoli.

Ma i sette rostri siciliani sono nulla, come dimensioni, al confronto con il famoso rostro di Athlit recuperato nel 1980 in meno di cinque metri d’acqua, sepolto nella sabbia, a sud di Haifa in Israele. Una delle più grandi fusioni in bronzo a cera persa mai trovata, lungo due metri e trenta centimetri e alto 80, insieme alla sezioni di legno pesava 600 Kg, solo il bronzo 465.
Ben evidenti quattro simboli in rilievo  che simboleggiano le divinità per salvaguardare e proteggere i marinai. Il tridente di Poseidone, un casco sormontato da una stella, il segno dei Dioscuri, una testa d’aquila e un caduceo, infine la bacchetta di Hermes. Dai test esguiti con il carbonio 14 la datazione è tra il 400 e il 130 a.C. e destinato a una nave ellenistica di media grandezza, un quadrireme, o una trireme, probabilemte parte di una nave della flotta di Tolomeo IV.
Nella fotografia il rostro, esposto al National Maritime Museum di Haifa con il “papa” dell’archeologia subacquea di Israele, il professore Elisha Linder recentemente scomparso. Tra le altre cose partecipò al convegno del 1985 di Favignana prersentando i risultati della ricerca del “suo” rostro. È stato un grande amico della nostra libreria, lo ricordiamo sempre con profondo affetto.
Maurizio Bizziccari