Souvenirs de Marine

Scritto da Il Mare
09 maggio 2011
Prima che nascesse la fotografia sulle navi delle grandi potenze europee veniva sempre imbarcato un pittore destinato a raccontare per immagini le cose viste durante le traversate.
In questi termini François Edmond Paris (1806 – 1893) può essere considerato il primo “fotografo” etnografo nautico nella storia della navigazione, ne è la prova un lavoro unico al mondo: Souvenirs de Marine, la collezione dei piani o dei disegni delle barche antiche o moderne esistenti o scomparse, con tutti gli elementi numerici necessari alla loro costruzione. Un lavoro imponente, i disegni delle navi, grandi e piccole, dalle corrazzate di allora ai sampan cinesi, raccolto in sei album in folio nel formato quaranta per cinquanta centimetri con sessanta tavole ciascuno, realizzato negli ultimi ventidue anni della sua lunga carriera, conclusa con il grado di ammiraglio come conservatore del Museo della marina ospitato allora nei saloni del Louvre.

L’opera completa è stata stampata nel 1987 in una edizione di mille copie numerate andate da tempo esaurite. La nostra libreria ne ha a disposizione due copie, ogni volume costa trecento euro.
Non bastava però possedere maestria con i pennelli: bisognava essere anche marinaio, geografo e talvolta etnologo.
 Le opere di questi documentaristi hanno oggi un posto d’onore nelle collezioni dei maggiori musei navali.
François Edmond Paris 
A volte ci troviamo di fronte ad autentiche opere d’arte, come ad esempio i dipinti realizzati durante i viaggi di James Cook alla scoperta del Pacifico, ma più spesso, quando l’amore per la navigazione prevale, a una documentazione irripetibile, su tipi di imbarcazioni esotiche scomparse ma che hanno ispirato i moderni progettisti nel campo dello yachting. Basti pensare ai catamarani e ai trimarani protagonisti di giri del mondo record e a megayacht come quello a forma di Prao, costruito di recente in Estremo Oriente.
Molte delle tavole comprese in Souvenirs de Marine sono riprese dagli splendidi acquerelli realizzati da Paris fra il 1830 e il 1832 durante uno dei suoi tre giri del mondo, quello a bordo della corvetta La Favorite della Marina francese.
Una tavola da Souvenirs de Marine
Centoundici opere, realizzate con cura meticolosa e piacevolezza di segni e di colori, che ritraggono curiose imbarcazioni costiere incontrate al largo del Senegal, delle Seychelles, in India, in Malesia e nello Stretto di Malacca; e ancora, a Singapore, alle Filippine, in Indonesia, in Australia, in Cile e in Brasile. Sono conservate al Musée de la Marine di Parigi, e in parte raccolte nel volume Le Voyage de La Favorite, pubblicato nel 1992.
Gli acquerelli risaltano la qualità del segno dell’allora trentenne ufficiale, oltre alla precisione nella riproduzione delle forme degli scafi, delle attrezzature e dell’armamento velico. Si scoprono così le piroghe dei pescatori filippini a vele quadre e con doppio bilanciere, progenitrici dei moderni trimarani. E le giunche di Canton, molto meno tozze di quelle tradizionali cinesi e ottime manovriere, come si legge negli appunti dell’ufficiale-pittore.
Corvetta Olandese
Paris notò la presenza di remi laterali nella parte prodiera come sistema propulsivo aggiuntivo e la godille, lunga asta poppiera che fa da propulsore-timone e che ci ricorda le gondole veneziane.
 Un altro particolare curioso che osservò furono i diversi colori usati per dipingere gli scafi delle giunche. Scrisse: “Questi colori servono a identificare le province del Celeste Impero da cui le imbarcazioni provengono”. Rilevò inoltre che le carene erano sempre bianche, mentre l’opera morta nera, arricchita dalle già citate fasce di colore di individuazione geografica, e la prua rossa.
Paris trovò di grande fascino anche le imbarcazioni incontrate lungo le coste indiane: piccoli scafi da carico, tozzi e di alta murata, che definì “barche-cisterna”. Avevano due alberi: quello di maestra reggeva una grande vela quadra al terzo e il minore, a estrema poppa come nei moderni yawl, ne sosteneva una che potremmo definire aurica; entrambi non erano coadiuvati lateralmente dal sartiame, mentre il timone era tradizionale, a pala, comandato con la barra.
Nelle stesse acque vide e ritrasse un altro due alberi da cabotaggio, di circa 20 metri, che usava vele simili a quelle latine diffuse in Mediterraneo. 

Davanti a Singapore dipinse un lungo e affusolato Sampan di 16 metri che navigava sotto la spinta di 14 remi e aveva il castello di poppa sollevato, come le galere. L’autore ci informa che barche di questo tipo venivano utilizzate, grazie alla loro agilità e al basso bordo, per il contrabbando dell’oppio. Nelle stesse acque restò impressionato anche da un vascello malese, il Lantcha, usato per il cabotaggio nello Stretto di Malacca. Gli ricordava il trabaccolo dell’Adriatico e ne apprezzò le linee di carena; aveva tre alberi, lunghi remi ausiliari e sovrastrutture piuttosto alte ma leggere, fatte con canne di bambù. 

Ulteriori occasioni per ammirare originali imbarcazioni costiere nacquero durante la navigazione fra le isole dell’Arcipelago indonesiano. All’epoca il dominio olandese aveva già occidentalizzato alcune barche locali che navigavano battendo la bandiera del lontano Paese europeo. Paris fu affascinato dall’eleganza di alcuni tre alberi di circa 20 metri di lunghezza, dotati di attrezzatura aurica e di due lunghi timoni laterali, che arrivavano fino al castello di poppa, uno sistemato a dritta e uno a sinistra.
Scrisse: “Il porto di Subaraya dell’isola di Giava è uno dei tradizionali punti di incontro di queste magnifiche golette”. Incontrò poi il Prao Mayang, che nelle forme ricordava molto gli yacht olandesi del XVI secolo; unico dettaglio anomalo il lunghissimo timone laterale fissato soltanto sul lato di sinistra.

Fu invece davanti alla città vietnamita di Da-Nang che scoprì i Gay Yeu, piroghe strette e veloci, molto invelate, di lunghezze variabili dai cinque ai 20 metri.
Canton, Bateaux pecheurs
Per compensare l’effetto del vento, dalle murate sporgevano lunghe aste su cui si arrampicava l’equipaggio per evitare una possibile scuffia. Si trattava in fondo di antenate delle moderne derive da competizione, dove viene utilizzato il trapezio.

 Davanti a Valparaiso, in Cile, l’allora giovane ufficiale disegnò infine imbarcazioni che definiremmo antesignane dei gommoni dei nostri giorni. Viste in pianta ricordano, con la loro forma a V, proprio i battelli pneumatici, ma i tubolari erano due otri in pelle pieni di olio, collegati da legacci di cuoio; una piccola piattaforma in legno creava lo spazio per l’equipaggio, che procedeva a colpi di pagaia.