Un mito come una divinità

Scritto da Il Mare
27 luglio 2011
Il mare non si può battere, è troppo forte per noi, noi siamo piccoli uomini Lui è immenso

la frase è di Enzo Maiorca, un mito, uno dei più grandi apneisti nel mondo, l’ha scritta nell’anteprima del libro Il mare e l’uomo di Vittorio G. Rossi  (edito nel 1987).





Nel suo  Sotto il segno di Tanit Maiorca racconta, almeno per buona parte, la sua vita, dagli inizi, studente a Siracusa, e della sua scoperta di essere un giovane “acquatico”. 
Nel mare Enzo scopre la sua vocazione di atleta, la sua bravura di pescatore subacqueo, riuscendo a guadagnarsi i primi soldini non soltanto infilzando cernie e saraghi, ma  accompagnando  nel loro habitat i banchi di tonni alla camera della morte della tonnara di Vindicari, un mestiere che forse solo lui ha fatto nel mondo delle tonnare, in quanto lui, acquatico e apneista, si guadagnava la fiducia dei poveri pesci.





Apneista è un neologismo che non ci piace, sa di apicoltura, ma nell’autobiografia, Maiorca è come se ci parlasse, non la smette, un uomo che prova e poi scrive, che non inventa nulla, perché nelle profondità lui è pesce, un dono di natura per le sfide umane.

Il testo brulica di colori e di sensazioni nel mare di superficie e di abisso; Maiorca lo ama, all’inizio gli dà da vivere, cattura i pesci con il fucile in apnea poi con le bombole e viene assunto alla tonnara per portare alla morte i tonni che hanno fiducia in lui, una cosa di cui si rammaricherà in seguito.

Finchè ci sono pesci, ci sono soldi, il mare è come una banca: dà credito a chi ha possibilità” dice il suo amico barcaiolo e pescatore, detto Ventidue, che lo accompagnerà in tutte le sue imprese fino alla scoperta della città sommersa, greca o romana, la Cittadella come la chiamavano da quelle parti, il mistero di Tanit, antica divinità fenicia.

Un giovanotto che da poco ha compiuto ottant’anni

 
Foto dal libro Scuola di Apnea ed. La Cuba 1982
Il suo rapporto con i pesci, lui uomo pesce, cambia totalmente quando, dopo averne ammazzati tanti, dopo i vent’anni per guadagnarsi da vivere, prima di diventare un grande campione. Una volta, cercando di stanare con le mani una grossa cernia arpionata e strappandole carni e viscere la cernia gli scagliò il cuore contro il palmo della mano, e questo cuore (ho provato io stesso questa emozione con un’alalunga pescata al largo delle coste del Senegal )  batteva frenetico, terrorizzato, realizzai – racconta Maiorca – di avere davanti a me un essere vivente, di essere stato un portatore di morte in quell’ambiente che dicevo di amare tanto, il mare in cui la morte domina sovrana, però per necessità di sopravvivenza.

Il fucile di quel giorno, da quel giorno – conclude Maiorca – giacque arrugimito ed impolverato, ricoperto di ragnatele, nella cantina della casa in cui abito”.
Il libro, un testo scientifico che spiega le immersioni in apnea e con le bombole, è un’appassionante racconto della vita di mare e di agonismi (con se stesso e il mare) di un grande uomo, rispettoso della natura, quella che invece è inquinata dalle industrie a Nord della sua Siracusa. Un nostalgico e sensibile ripercorrere la sua vita, la vita dei personaggi siculi, degli odori, dei profumi, dei sapori della sua costa dove c’è la Cittadella immersa, distrutta improvvisamente da un terremoto, che Maiorca esplora ancora intatta e che potrebbe custodire i segreti delle popolazioni fenicie.
Scritto in uno stile  che non si arrende ai capoversi, in apnea con l’autore, con un linguaggio  in lingua italiana parafrasando il dialetto siciliano, succoso, aspro e dolce insieme, pieno di salmastro, di pelle d’uomo e di pesce, di amici e pescatori dalla saggezza che proviene talvolta dai fendenti ricevuti da un pesce spada, dalla consuetudine con le bizzarrie di un mare che Maiorca conosce come la sua terra. Leggendo questo libro abbiamo l’impressione (o la certezza?)  di sentirci immersi inconsapevolmente in queste profondità e ci tramutiamo in animali marini.

Giulia  D’Angelo


Leggendolo, anzi immergendomi, mi viene a mente Giulia D’Angelo, fondatrice della Libreria Internazionale il Mare, grande esploratrice di abissi e innamorata di archeologia subacquea.
 

Bellissime immagini fotografiche corredano il libro che, ripeto, bisogna leggere come il diario di bordo di un grande umile atleta del mare.


Decio Lucano