Una pillola da un buon libro per raccontare gli Etruschi dominatori del Tirreno

Scritto da Il Mare
15 dicembre 2010
La pillola che vi presento è presa da quei tre milioni di caratteri che vi ho presentato la scorsa settimana: Codice e Consuetudini nella Storia del Commercio Marittimo. Dal Codice di Hammurabi alle Repubbliche Marinare di Antonio Lozzi
Dal primo volume ho tratto una pillola di circa quindicimila caratteri per raccontare come gli Etruschi, con i loro commerci, hanno dominato il Tirreno fino al 474 a. C. quando la loro potente flotta fu annientata dal Re siracusano Gerone I. Una storia appassionante che, vi assicuro, si legge tutta d'un fiato. Buona lettura!



Il Commercio degli Etruschi


 I Tirreni, il più esteso popolo d’Italia, ma le loro colonie sono la base della loro debolezza perché tanti centri indipendenti e spesso rivali, non connessi tra loro e con la madrepatria che da legami commerciali.

Nell’Italia pre-romana, si trovavano stanziate popolazioni di stirpe diversa, le cui attività, commerciali e politiche, connesse con la marineria, che costituirono un elemento primario allo sviluppo della navigazione nel Mediterraneo e delle raccolte di leggi ad essa collegati, permisero d’avviare quello che sarà in futuro il commercio in Italia. Il commercio che ne deriverà non è soltanto il trasporto di prodotti da un punto all’altro, dimensione certamente esistente, ma quello che sta alle spalle, che è soprattutto parte delle strutture politiche, economiche e sociali di queste comunità arcaiche, che ha a che fare con gli scambi marittimi.
Tutte queste popolazioni, nelle epoche più remote, vendevano soltanto quel che producevano, direttamente o grazie al lavoro manuale dei loro operai: non praticavano ancora il vero il commercio, non erano mercanti. Praticare il commercio, essere un mercante vuol dire rivendere quanto acquistato, con un profitto che rappresenta il prezzo del servizio reso acquistando la merce là dove è disponibile per trasportarla dove ce n’è domanda. L’usanza voleva che i mercanti non pagassero in denaro le merci ricevute, ma barattandole con altre mercanzie o con utensili di vario genere.
Una simile professione così vitale nella società contemporanea, era all’epoca poco utile, scomoda e anche rischiosa, semplicemente per il fatto che, come sappiamo, le vie di comunicazione erano tutt’altro che sicure. Se ci si avventurava nel Mediterraneo, c’erano altrettante probabilità di essere assaliti dai pirati, e quale condizione migliore per un navigante, se non quella di esercitare direttamente la pirateria? La popolazione presa in esame in questo capitolo, gli etruschi, non fece distinzioni tra commercio e pirateria, ma se a questa si riconosce, da una parte la colpa di averla esercitata, da un’altra le va il merito di avere praticato per la prima volta in Italia il commercio su larga scala.
Lo studio del commercio etrusco non è tra i più facili, dobbiamo affidarci più allo studio degli oggetti e dei luoghi del loro scambio, che non alle fonti sia scritte che materiali, seppure ampiamente ritrovate, che fanno parte delle loro testimonianze. Si hanno numerosi reperti sulla civiltà etrusca, ma purtroppo la maggior parte di essi fan più riferimento a regole di culto che non alle notizie tradizionali. Solamente su una tavola bronzea risalente alla seconda metà del II secolo a.C., ritrovata in un cimitero ad una ventina di chilometri da Potenza, si trovano incise le pubbliche leggi della città italica di Bastia.
Non sappiamo esattamente da dove provenissero gli etruschi, ma con ogni probabilità, forse dall’Asia Minore e particolarmente dalla Lidia. Secondo Erodono, in tutta la Lidia si ebbe una grande carestia che costrinse molte genti ad espatriare, sotto il comando di Tyrrhenos, il figlio del re. Secondo altri due storici greci Elalnico e Anticlìde, rispettivamente del V e del IV-III secolo a.C., invece si sarebbe trattato dei Pelasgi, giunti in Italia dopo aver lungamente navigato per il Mare Egeo e dopo aver colonizzato le isole egee di Imbro e di Lemno. In ogni modo, sia nell’una che nell’altra ipotesi, essi erano dei navigatori, quali quelli che contraddistinsero l’intensa attività marinara del II millennio a.C., nel cui periodo troviamo sicuri movimenti di popolazioni che accompagnarono e seguirono la crisi e il crollo dei vecchi imperi mediterranei. In questo periodo, che sarà chiamato “Orientalizzante”, sulle coste tirreniche, si assiste ad un gran cambiamento economico, demografico e culturale del popolo degli etruschi. Dal punto di vista culturale le forti influenze orientali sono da collegare all’arrivo di mercanti, avventurieri, navigatori micenei, artigiani e, soprattutto, cercatori di metallo, provenienti dal mare Egeo. In ogni caso, qual è la loro esatta origine c’è parzialmente noto: si spostarono da est a ovest, movendo dalle coste o dalle isole, immigrati che costruirono una flotta, vi caricarono tutto ciò che potevano trasportare e presero il mare alla ricerca di una nuova patria, fino al giorno in cui arrivarono in Italia prendendo il nome del loro capo. Gli storici li chiamarono presto tirreni, da cui, più tardi, prese il nome anche il mar Tirreno. Essi si sistemano dapprima nell’Italia del nord per poi discendere giù per l’Appennino, dove finirono con il sistemarsi tra l’Arno e il Tevere, sull’attuale territorio della Toscana, cominciando a dar vita, inizialmente a stanziamenti commerciali, per finire poi in vere e proprie colonie di popolamento che divennero in seguito staterelli indipendenti. Un po’ come i greci, essi non formarono uno stato unitario e compatto, ma furono divisi in città, introducendo in Italia per la prima volta il concetto della città-stato, governata in un primo tempo da re e, successivamente, da famiglie nobili la cui ricchezza derivava da attività commerciali. La città-stato era essenziale per l’instaurarsi delle relazioni commerciali, laddove le antiche popolazioni italiche conoscevano una struttura politica differente: la confederazione tra villaggi, con un’economia primitiva che limitava di parecchio la diffusione dei mercati e quindi l’attività di scambio. Lo sviluppo di tali centri s’accompagnò al progresso e all’organizzazione come le loro attività marinare, non più praticate in maniera disorganica e occasionale delle loro prime pratiche piratesche, ma più improntate ai normali rapporti di scambio, caratterizzate a soddisfare le sempre più crescenti richieste di mercato, sia interno che esterno.
Le coste dell’Italia del I millennio a.C., erano regolarmente visitate, come abbiamo visto, da greci e fenici- visitatori abituali degli empori italiani - le cui rotte commerciali si sono incrociate per secoli nel tratto di mare di fronte alle maremma toscana. Le cause di questo traffico non vanno ricercate solo nella vivacità e ricchezza di questi mercanti, ma anche in una particolare situazione geografica assai favorevole alla navigazione antica in questo tratto di mare. Davanti alle coste dell’Etruria una serie di promontori e di isole minori permetteva infatti di navigare a vista fino alla Sardegna e alla Corsica, evitando così di affrontare il mare aperto per molte miglia.
I rapporti instaurati dagli etruschi con i mercanti greci, soprattutto attraverso gli scambi marittimi, inducono a pensare che la loro abilità subito manifestata nel settore della marineria e della navigazione, l’abbiano appresa dai greci e trasfusa a loro volta ai più ricettivi vicini di casa: quali i romani. Indubbiamente a partire da questi rapporti ci fu una tal evoluzione economica che comportò importanti mutamenti sociali, che non mancarono di riflettersi nella struttura giuridica degli etruschi: importando le prime industrie e il commercio, l’economia basata sulla pastorizia divenne manifatturiera e artigiana. Dai greci appresero, inoltre, tutto quel complesso di norme, ordinamenti e codici che furono i pilastri delle future legislazioni romane.
L’attività commerciale appresa li portò ad instaurare proficui rapporti con gli altri popoli marittimi quali i cartaginesi, che divennero loro stretti alleati nel dominio incontrastabile del mare Tirreno. Molti porti della Campania, del nord Lazio erano caduti nelle mani degli etruschi, grazie alla collaborazione dei cartaginesi, mentre l’Italia meridionale e principalmente la Sicilia era sotto il controllo dei greci; mentre i cartaginesi, che si avviavano a dominare l’intero Occidente mediterraneo si stanziarono nella Sicilia occidentale. Con i cartaginesi, gli etruschi stipularono patti di non aggressione, di reciproca alleanza e di rispetto per gli impegni economici presi, nelle zone di rispettiva influenza, relativi alla navigazione e al commercio. Essendo i due popoli i più temuti pirati del Mediterraneo, l’alleanza con Cartagine escludeva l’esercizio della pirateria tra i due contraenti, rivelandosi preziosissima per controbattere la supremazia commerciale della Grecia, che dovette limitare la propria influenza in Italia. Per i greci, gli etruschi, i “dominatori del mare”, com’erano stati denominati, rimanevano pure sempre i più temibili corsari del Mediterraneo.
Queste alleanze e le relative attività commerciali, posero in tutta la sua ampiezza il problema degli sbocchi commerciali per assicurarsi mercati e vie di comunicazione, che portò gli etruschi, in modo sistematico, ad espandersi oltre alle regioni vicine al Lazio, anche in quelle più lontane, come la Campania, la Liguria, la Provenza o la Sicilia, dove crearono degli empori, porti franchi, ed avere così un diretto contatto con gli importanti alleati commerciali fenici e intenzionalmente anche con i sapienti concorrenti greci, dai quali essi ereditarono l’organizzazione commerciale. In particolare, furono create nuove forme e strutture comunitarie di imprenditori mercantili, provenienti dai ceti aristocratici e militari, e della realizzazione d’una autentica talassocrazia. La classe gentilizia dei mercanti sarà quella che in questo periodo si troverà a gestire una maggiore disponibilità economica e ad esercitare un più diretto controllo delle risorse da esportare sulle vie commerciali marine e fluviali, arricchendosi a dismisura.
La leggenda riportata da Dionigi d’Alicarnasso riguardante le fortune economiche di un uomo di Corinto, di nome Demarato, alla metà del VII secolo a.C., è un tipico esempio di questa ricchezza e di come il tessuto abitativo di una regione possa essere trasformato dai contatti commerciali. Demarato, mercante e armatore di navi, si era procurato un’ingente ricchezza commerciando con le città etrusche dell’Italia, con le quali aveva ormai allacciato uno dei più fiorenti traffici dalla Grecia e viceversa, al punto da dedicarsi esclusivamente a questa linea, diventando rapidamente molto ricco. La rivolta di Corinto del 657 a.C. lo vide costretto ad interrompere detto commercio, e viste le ricchezze che aveva accumulato pensò bene di trasferirsi fra gli amici etruschi a Tarquinia frequentando quella classe di aristocratici formata da personaggi di rango del mondo marittimo commerciale. La storia di Demarato è anche importante perché fu il padre del futuro re di Roma, Tarquinio Prisco.
Il commercio degli etruschi non più ora appannaggio della sola aristocrazia, ma di una nuova classe media composta prevalentemente da commercianti e artigiani.
Nel campo delle costruzioni navali mercantili essi raggiunsero dei risultati soddisfacenti che superarono notevolmente le costruzioni greche. Secondo Plinio il Vecchio fu proprio un etrusco ad ideare il rostro. Le loro navi erano più veloci e non temevano nessun concorrente nel commercio marittimo. Secondo le fonti gli etruschi, oltre a possedere un’invidiabile marineria, erano anche abili ingegneri che progettavano porti e insediamenti. Il porto etrusco non era realizzato direttamente sulla costa, ma all’interno di alcuni bacini lagunari naturali che in antichità si erano formati lungo il litorale tirrenico. Un sistema di barriere e frangiflutti era organizzato a mare in corrispondenza dell’entrata del porto, mentre una serie di canali d’accesso permettevano alle navi un tranquillo ingresso in porto. L’abbandono di queste strutture e il progressivo insabbiamento dei bacini lagunari hanno condannato nel tempo questi magnifici insediamenti portuali.
Nella la vicina isola d’Elba e la Corsica essi estraevano il ferro, rame, piombo argentifero. Non c’è dubbio che la causa fondamentale del subitaneo sviluppo del mondo etrusco e della sua prosperità debbano ricercarsi nell’esistenza e nello sfruttamento di queste risorse minerarie, oltre al commercio principale del surplus dell’agricoltura, vino e olio nella fattispecie, scambiate con le popolazioni liguri e con la Francia Meridionale. Questi centri minerari, insieme con quelli della Sardegna e della Spagna, potevano considerarsi fra i più ricchi del Mediterraneo. Era continua la navigazione tra le due coste, e frequenti gli scambi commerciali, in particolare quello del materiale di ferro che si estraeva a Populonia, porto privilegiato nel commercio da e per la Corsica. I rapporti tra la città etrusca di Populonia e l’emporio di Aleria in Corsica costituivano le cerniere di questo tratto di mare, su cui gli etruschi mantenevano uno stretto controllo.
La necessità di allargare i confini, purtroppo anche con l’ausilio di atti di pirateria, che li fece identificare nell’equazione tirreni uguali pirati, portò le flotte etrusche a navigare e a dominare buona parte dell’Adriatico, che prese il nome da Adria, colonia etrusca. Tutto il mare intorno all’Italia fu chiamato allora “mare Etrusco”.
La potenza romana, fino a quei giorni era stata sufficiente a proteggere e a mantenere inviolato il confine del Tevere contro la preponderante presenza navale etrusca. Questo stato di cose, non durò a lungo, la Grecia si vedeva troppo minacciata dalle incursioni etrusche, non poteva permettere un proliferare di navi concorrenti nei propri mari. Per i greci, gli etruschi erano pur sempre dei pirati temibili con i quali era impossibile intrattenere rapporti cordiali e mercantili, anche se consideravano questa pirateria soltanto un aspetto delle loro attività marinare connesse agli scambi e alla necessità di espansione politica.
Nel corso dell’VIII secolo, le relazioni con i greci e fenici, anche se strettamente connesse, non erano sempre di collaborazione. Era naturale che la competizione instauratasi per il controllo delle rotte marittime portasse gli etruschi a scontrarsi irrimediabilmente con le due suddette popolazioni, in modo particolare con i greci, con i quali il rapporto d’alleanza non era così forte come con i fenici. Le lotte più accanite si svolsero nel Tirreno per il controllo di questo mare e dei suoi accessi, specialmente, nel VI e V secolo c.C., durante la massima fioritura della potenza navale etrusca, quando i greci s’impiantarono sulle coste della Francia Meridionale fondando Massalia (Marsiglia) e quindi in Corsica, proprio di fronte all’Etruria, compromettendo il monopolio etrusco sul Tirreno, ormai destinato ad una fase di declino per motivi di compenetrazione dell’elemento romano nella regione.
Nel VI secolo a.C., nell’odierna Toscana, dovendo le loro relazioni svolgersi principalmente per via mare - anche se le coste non erano naturalmente ospitali perché abitate da popolazioni che restavano al di fuori degli interessi commerciali - gli etruschi crearono degli importanti insediamenti portuali: Pyrgi, Castrum Novum, Gravisca, Regae, Orbetello, Talamone, Populonia e Pisa. Padroni, a questo punto, del crocevia tiberino, mentre i sabini e latini continuavano a contendersi la via Salaria ed i pascoli del Lazio, si spinsero in seguito verso sud, seguendo la via della valle del Sacco che toccava Veio, Preneste, Tuscolo e Capua, senza minimamente preoccuparsi di quella che sarebbe poi divenuta la città più potente del mondo antico, Roma; anzi, approfittarono della posizione centrale della Roma primitiva per creare proprio qui il loro mercato ideale, il luogo in cui si veniva da tutto il Lazio e dalla Sabina allo scopo di acquistare le mercanzie che le carovane e le navi etrusche avevano condotto dal nord e dal sud. Questa situazione - anche se legata a fattori esterni - permise a Roma di acquisire una considerevole importanza e prosperità, come rivelano le strutture e fortificazioni costruite dagli etruschi. E’ necessario ipotizzare per quell’epoca un flusso continuo d’imbarcazioni che discendevano lungo il Tevere ed i suoi affluenti navigabili, soprattutto l’Aniene, o che risalivano il fiume dopo la foce per portare le derrate agricole necessarie al sostentamento della città. Al ritorno queste imbarcazioni non rientravano scariche, poiché Roma era essa stessa un centro di esportazione importante.
Le navi utilizzate per questi trasporti, oltre che essere etrusche erano anche greche. Roma, mentre si limitava a studiare le fasi operative di questo commercio e a tentare timidamente di mettere alcune sue navi in acqua e partecipare così a qualche trasporto, era diventata nel frattempo uno scalo regolare per i navigatori etruschi e greci. Dai bordi del Tevere arrivavano principalmente gli ordini d’acquisto.
Il V secolo segnò nello stesso tempo l’apogeo della potenza etrusca e l’inizio dei problemi che inevitabilmente si prevedevano che potessero verificarsi con una civiltà vicina e alquanto scomoda quale quella romana, la cui ascesa era imminente. Questo secolo fu alla fine per gli etruschi un secolo di crisi: le rivalità che dilaniavano greci, cartaginesi ed ora anche romani, alla ricerca di nuove colonie e di nuovi sbocchi commerciali, non poterono risparmiare le città etrusche. Da questo momento un incessante conflitto contrappose le floride città etrusche alle ambizioni marittime romane, che per uscire dall’isolamento commerciale dovevano per forza di cose misurarsi subito con le città e popoli confinanti. L’Etruria si scontrò con Roma, città che le fu fatale, finendo da questa totalmente assorbita. Gli etruschi dovettero accettare le condizioni dei trattati imposti dai romani, che includevano pesanti tributi oltre alla cessione di territori e porti. A fondamento di quest’ordine sorgeranno le nuove colonie marittime romane quali quelle di Fregenae, Alsium, Pyrgi, Castrum Novum.
Si è portati a pensare che con la decadenza etrusca, Roma, liberatasi dall’ingerenza straniera, sviluppasse un proprio mercato, ma non fu così; la perdita del supporto commerciale etrusco, anziché favorire lo sviluppo della città, le fece perdere i vantaggi derivanti dalla propria posizione geografica, mandando in rovina il traffico che l’aveva valorizzata, causando a Roma una grave crisi economica, che riaprì la via alle lotte di classe dei plebei, che non potendo più darsi ai commerci, furono costretti a lavorare nei campi di proprietà dei patrizi.
La potenza navale etrusca ebbe definitivamente termine nel 474 a.C., quando i contingenti siracusani di Gerone I ne annientarono la flotta. Il primato marittimo etrusco fu fortemente ridimensionato, la loro flotta fu pressoché distrutta, tanto che in seguito non si poté più parlare di una potenza navale etrusca. Roma, risultato della fusione etrusca e indigena, fu la città che n’ereditò i caratteri; divenne una città vera e propria e acquisì anche alcune caratteristiche tipiche delle città-stato greche, che la distinguevano dalle altre comunità, città meno civili, in particolare un ben definito passato leggendario, una società scrupolosamente formulata con un’intensa attività commerciale ed un disciplinato sistema di diritto.