Paolo Rumiz ci porta con sé davanti al ciclope, dentro il ciclope, per dirci l'inquietante meraviglia del mondo. Capita di ascoltare notizie dal mondo e sono notizie che spogliano l'eremo dei suoi privilegi e fanno del mare, anche di quel mare apparentemente felice, una frontiera, una trincea. Il faro sembra fondersi con il passato mitologico, si leva austero ciclope monocolo, veglia nella notte, agita l'intimità della memoria (come non leggere la presenza famigliare della lanterna di Trieste), richiama - sommando in sé il "gesto" comune delle lighthouse che in tutto il mondo hanno continuato a segnare la via - le dinastie dei guardiani e delle loro mogli (il governo dei mari è storicamente legato all'anima corsara delle donne), ma soprattutto apre le porte della percezione. Nell'isola del faro si impara a decriptare l'arrivo di una tempesta, ad ascoltare il vento, a convivere con gli uccelli, a discorrere di abissi, a riconoscere le mappe smemoranti del nuovo turismo da crociera e i segni allarmanti dei nuovi migranti, a trovare la fraternità silenziosa di un risotto cucinato alla meglio.
Data pubblicazione
04/11/2015