Navigatore solitario, esploratore, pioniere dei viaggi-avventura: per trent’anni Ambrogio Fogar è stato l’uomo delle imprese impossibili e temerarie, delle traversate oceaniche e della spedizione al Polo Nord. Ma nel 1992 un incidente nel deserto del Turkmenistan ha cambiato improvvisamente la sua storia: un sasso urtato per caso ha fatto ribaltare la sua Range Rover durante il raid Parigi-Mosca-Pechino, pochi centimetri che cambiano la sua vita dalla corsa all’immobilità. Da quasi tredici anni è bloccato in un letto, non può muovere le braccia e le gambe, respira e parla attraverso una macchina, ha bisogno di assistenza continua da parte di familiari, infermiere e medici. Ma, tra nostalgie, sogni e ricordi, Fogar è riuscito a reinventarsi un’altra vita, a misurarsi con la fede, a impegnarsi in una battaglia per dare una speranza a quelli che, come lui, sono vittime di una paralisi che la scienza non sa ancora guarire. Quando l’estate scorsa Giangiacomo Schiavi lo ha intervistato per il «Corriere della Sera», migliaia di persone gli hanno scritto manifestandogli affetto, amicizia, solidarietà. E Fogar ha voluto rispondere in queste pagine, rivivendo i momenti di un passato ricco, avvincente e discusso, ma soprattutto raccontando la sua vita di oggi. Con sincerità, lucidità e passione Fogar dà voce alla silenziosa sofferenza di altre migliaia di persone, lancia un appello a non ostacolare il lungo e difficile percorso della ricerca scientifica, invita a credere nella vita e a cercare sempre la speranza dentro ognuno di noi. Anche quando il destino ci obbliga a navigare controvento.
Data pubblicazione
01/06/2005