“Sandro avrebbe potuto contrarlo da un dentista, ci fecero sapere. Un piccolo virus ha iniziato a operare nel suo organismo, nel cuore, in modo da farlo dilatare e rallentare. Fra la diagnosi, dopo un'ultima arrampicata sulla costa della California, e il punto di non ritorno, una mattina di maggio in cui lo portarono a sirene spiegate al New York Presbyterian Hospital, sono passati più di dieci anni. Abbiamo avuto il tempo di adattarci, giorno dopo giorno, alla nuova normalità. La camera della terapia intensiva diventò la nostra casa. In quattro mura con vista sull'East River, che scorreva verso il mare, avevamo rinchiuso il mondo. Un via vai di medici, infermieri, specialisti controllava i valori momento per momento e dosava i farmaci di conseguenza. Mentre ci avventuravamo in quella terra di nessuno fra la vita e la morte, ci siamo sentiti tutt'uno con altre mogli, madri, sorelle, fratelli. Siamo stati abbracciati da manifestazioni d'affetto dalle persone più disparate. Discrete, quotidiane, silenziose. Ci facevano sentire meno soli davanti alla prova più grande per un essere umano”.
Data pubblicazione
06/05/2021