Il verso è costruzione, architettura sonora, musica; se non è questo, non esiste; rumori e macerie non fanno poesia. Gabriella Leto costruisce, dispone i suoni con suprema eleganza; una frase poetica gli sale o scende anche per otto, dieci, dodici versi sempre acquistando musicalità e fissandosi, nel punto finale, con la precisione di una forte mano sicura su una tastiera. Si sente costantemente una ferrata educazione classica e musicale. La tentazione del facile, dell'aggettivo prescritto, è ricusata con puntiglio, aggirata con arte. E sono poesie misteriose, piccoli enigmi fragili, pitture sulla seta dove s' intravedono un amore segreto, oggetti, fiori, ambienti, pietre, cose che un Mallarmé avrebbe mostrato di gradire con uno dei suoi deliziosi epigrammi d'occasione. Pharmaca: ampolline d 'unguento, fiale odorose ... Da dove esce questa voce strana? ... Una poetessa dell'antica Cina rediviva, scettica, staccata dalle passioni ma dopo averle sofferte e trasformate in accordi delicatissimi, in sospiri di salici, in incastri parlanti di fiori per la stanza del tè: una poetessa ai margini della Corte, forse anche della vita, che avesse rinascendo acquistato la padronanza, il senso e il timbro del linguaggio poetico italiano fra Tasso e Parini, restituendolo adeguatissimo alla sensibilità filologica contemporanea, a un gusto mutato che ha orrore, giustamente, dell'esumazione e del retorico
Data pubblicazione
01/01/1990