Un ombrello per le anguille. Sarà forse un libro in cui piovono pesci? Non proprio. I pesci ci sono, sempre, guizzanti e carichi di significati come le parole di chi scrive, che racconta sì di pesca, ma anche di vita, ricordi, sensazioni, sentimenti, albe e fiumi, nostalgie. Un racconto via l’altro, non solo per chi ne capisce di esche, piombini e mazzacchere, ma sorprendentemente (o forse no), anche per chi tutte queste cose non saprebbe nemmeno riconoscerle ma che in una frazione di secondo si ritrova attaccato alla lenza della narrazione. “La pesca per me, a volte, è quasi una religione. È quello che non sono mai riuscito a far capire a mia madre, a mio padre, agli amici, alle donne che ho amato. Spero di riuscirci con i miei figli. Perché? Beh, perché io ho avuto un ottimo padre, ma oggi so che avrei voluto un padre pescatore. Qualcuno che mi segnasse le vie da percorrere, mi dicesse come fare il nodo per legare l’amo senza farmelo studiare sui libri con i disegni sempre poco chiari, qualcuno che si alzasse con me all’alba sapendo che cosa stavo provando”.