All’indomani della Grande Guerra, quali furono le conseguenze che lo spostamento dei confini orientali produsse nell’economia marittima della Venezia Giulia, dell’Istria e dell’area del Quarnaro? Dopo il tramonto dell’Impero asburgico, le città portuali “redente” soffrirono per la frammentazione politica dell’hinterland centroeuropeo e balcanico, per i contraccolpi della grande crisi mondiale e, ancora, nel 1938, per l’annessione dell’Austria al Großdeutsches Reich. Gli autori del volume indagano le ricadute concrete di questa faticosa integrazione e rivolgono lo sguardo ai risultati della legislazione speciale che lo Stato italiano adottò a favore di Trieste, Fiume e Pola nell’intento di compensare, con la fondazione di nuovi stabilimenti produttivi, gli incerti proventi dei traffici via mare. La strategia di questi interventi si ispirava ai provvedimenti che avevano fatto nascere Porto Marghera. Ma per i porti di Trieste, Fiume e Pola, anch’essi divenuti largamente dipendenti dall’intervento pubblico, gli esiti sarebbero stati difformi da quelli ottenuti dal porto veneziano. Se da un lato si registrarono alcuni effetti stabilizzanti, dall’altro le resistenze dei gruppi dirigenti locali e le dinamiche economiche generali rallentarono l’impianto di nuove zone industriali. Attraverso lo studio e il confronto dei tre casi emergono i tratti di un sistema portuale alto-adriatico che tra le due guerre appare segnato dalla difficile combinazione fra intenzionalità politiche, cicli economici e assetti internazionali.
Data pubblicazione
01/11/2008