Il fenomeno della pirateria somala è balzato alla cronaca mondiale dal 2008 al 2011, anni di maggiore incidenza dei dirottamenti sebbene annualmente siano denunciati nel mondo sparizioni di navi dalle proprie rotte. A bordo di veloci skiff lunghi pochi metri gli indigeni vanno all’arrembaggio di navi gigantesche mentre il resto del mondo si stupisce di tale barbarie anacronistica alla soglia del terzo millennio. Agli armatori chiedono riscatti da capogiro per il rilascio delle petroliere, del carico e dell’equipaggio tenuto in ostaggio. In quegli anni risultava impossibile alle autorità e alla burocrazia internazionale arginare il fenomeno nonostante il pattugliamento delle zone a rischio delle Marine Militari dei diversi paesi. Tutti messi sotto scacco da ciurme di banditi in pantaloncini corti. I tentativi diplomatici erano inefficaci e non fermavano i ricatti e le torture della malavita organizzata proveniente dai villaggi della costa somala… e solo in questi ultimi tempi, per un cambio di strategia, il fenomeno sembra ridimensionato. Il personale racconto del primo ufficiale della Savina Caylyn dirottata l’8 febbraio 2011 descrive gli 11 mesi di prigionia trascorsi dai 22 membri dell’equipaggio sotto le armi di 40 pirati a largo della costa somala in prossimità della località di Harardhere, nel più lungo sequestro di una nave occidentale.
Data pubblicazione
01/09/2015