La vicenda degli uscocchi si colloca all’interno delle grandi lotte per il potere tra l’Impero ottomano, la Repubblica di Venezia e l’Impero degli Asburgo nel delicatissimo scacchiere adriatico tra il XVI e il XVII secolo, ma - a tutt’oggi - la documentazione storica non è stata studiata a sufficienza, e resta un mistero il loro stesso nome, che persino vocabolari ed enciclopedie descrivono in maniera discordante e imprecisa. Il termine, dal serbo/croato uskok, “fuggiasco”, ha poi assunto negli anni molti altri significati: “profughi”, “migranti”, “predatori”, “assalitori”, “disertori”, “ribelli”, “guerrieri”, “pirati”. L’epoca degli uscocchi, che in origine svolgevano un’utile funzione militare come primo baluardo cristiano contro l’avanzata turca, è durata circa ottant’anni: da cento - quanti erano inizialmente nel 1537, quando la roccaforte di Klis venne conquistata dai turchi - diventarono duemila alla fine della loro storia, conclusasi con la “guerra di Gradisca” o “guerra degli uscocchi” nel 1617. I cronisti pagati dai tre stati che si spartivano l’Adriatico li descrivono, a seconda delle necessità e degli obblighi verso i committenti, a volte come profughi spinti dall’avidità per il danaro e la vendetta, altre come combattenti per la giustizia e la libertà. Ma, da qualunque punto di vista si osservi, è indubbio il fatto che i Balcani mai sono stati tanto presenti nell’Adriatico come lo furono con gli uscocchi; quegli «homini valorosi e disperati» hanno lasciato la propria impronta sulla scena politica europea dell’epoca: l’età moderna non può che apprezzarne appieno il mito.
Data pubblicazione
04/11/2008